giovedì 6 febbraio 2014

Olea fragrans rubra, una lettura di Antonio Devicienti

Sinusoidi morbide (attraversando la RAPSODIA IN ROSSO di Carla Bariffi); con tre inediti

di Antonio Devicienti

Mi colpiscono sempre molto quei libri che vogliono andare sia oltre la scrittura in versi sia oltre l’idea comune e forse più diffusa che si ha della poesia. Pervicacemente resiste infatti il luogo comune del poeta “persona con la testa tra le nuvole” o “lontano dalla realtà e sognatore” e l’altro, secondo cui la poesia contemporanea sarebbe incomprensibile e quindi illeggibile (anche nel senso che non vale la pena leggerla data la sua astrusità). Rapsodia in rosso di Carla Bariffi (Edizioni CFR, Piateda, 2013) è un concreto tentativo di andare oltre e contro quei luoghi comuni ed essendo Carla poetessa di vastissime e profonde letture e persona che crede totalmente nella scrittura e che fa della ricerca della bellezza (dirò in seguito in che senso) un quotidiano modus vivendi, il suo più recente libro offre tutta la serietà, l’impegno, il fascino e le ragioni di una ricerca inesausta. Chi cerca l’abbandono lirico, l’effusione dei sentimenti (magari “al femminile” secondo quanto vuole un altro diffuso luogo comune), l’innocuo confezionare buoni versi non legga questo libro. Lo legga e lo mediti chi cerca una poesia che non consola e che non vuole neanche farlo, chi si aspetta una poesia che pone domande, che provoca, che costringe ad uscire fuori dalle (false) sicurezze, che segue sentieri impervi.
L’altrove è un luogo costruito
nella mente e nello spirito.
Penso questo mentre cerco
la mia penna preferita (pag. 9):
così si apre la Rapsodia, con questa quartina proemiale e programmatica; premetto: l’intero libro è un succedersi di strofe di varia ampiezza e che possono essere lette o in sequenza o isolatamente, secondo una struttura rapsodica, quindi, in un dispiegarsi del pensiero-canto che obbedisce alle ragioni della riflessione, della corporalità e dell’ambiente lacustre-montano che accoglie la mente ed il corpo. Forse si può riconoscere in una tale scelta stilistica la suggestione della frammentarietà con la quale ci è giunto il pensiero presocratico e dello stile aforistico delle opere di Wittgenstein, o la vibrante urgenza espressiva di opere come Impromptu di Amelia Rosselli e di certi testi di Alda Merini – e, come sempre, scorgo suggestioni da altri testi nei libri che di volta in volta attraverso non per stabilire genealogie, ma per riconoscere la ricchezza anche infratestuale, in questo caso, della Rapsodia e per sottolineare ancora una volta come non si tratti di un libro spontaneistico e confessionale, ma meditato, strutturato, complesso, consapevole.
Torno alla strofa iniziale: il libro sarà la ricerca di un luogo costruito dalla mente e tale ricerca s’invererà nella scrittura.
Trovo molto bella l’idea del cercare la propria penna preferita: ogni poeta che ancora non si è del tutto arreso all’imperio del computer sa che la buona riuscita di un testo dipende anche dalla penna e dalla carta, dal quaderno che si usa, perché anche il corpo che compie l’atto dello scrivere ha bisogno di trovare quell’accordo giusto con la mente, quell’armonia di materia, gesto e pensiero che sono imprescindibili dall’atto di scrivere.
Mi porterai un moleskine
con penna stilografica.
Accendi l’entusiasmo nei miei occhi
perché conosci ciò che non controllo
lo scritto improvviso nel tragitto
del tempo che mi coglie in emozione (pag. 24).
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In omaggio a Carla, quest’assolata foto dalla Plaka di Atene (luglio 2012).
Mi colpisce nel corso dell’intero libro, quasi fosse un Leitmotiv, il tornare dell’immagine della pelle e del dherma, momenti fondamentali del discorso del corpo e sul corpo che, a sua volta, s’intreccia a quello sulla ragione e sul vedere, ché nella complessità della Rapsodia, esattamente come nella sinfonia classica, vengono avviati i vari motivi e poi sviluppati, variati, ripresi, mescolati tra di loro.
La pelle esige una cura
lo sguardo dell’altro.
È come un androne
antico e profondo.
Percorrerlo è il respiro dell’atleta (pag. 10).
Provo un piacere sfrenato
quando lascio macerare l’intuizione,
quando sento l’erotismo risalire
lungo un mio tratto di pelle
- mentre sento l’intenzione
farsi carne tra i miei sen(s)i (pag. 20).
Basterà il pensiero
a far sboccare
in pura magia
l’universo della pelle (pag. 31).
Distillato,
purissimo di Dherma.
Sana appropriazione della lingua
attingendo alla radice
ricavandone: succo (pag. 37).
Punto di flesso
l’incisione sul derma
al tatto si dilata in arabeschi
- percorrerli è la forza -
Nel respiro che trema
- raccolgo -
la pelle del cosmo
e immortalo la bellezza (quest’ultime due strofe, a pag. 46, chiudono l’intero libro).
Affine al ruolo e al significato della pelle mi sembra quello del perigonio e dell’epididimo, parti che appartengono l’una agli organi sessuali del fiore, l’altra a quelli maschili, alludendo così alla generazione, non disgiunta di certo dal rapporto sessuale: Lungo l’epididimo / attraverso l’erogena zona / che divide il cratere dal vulcano. / Nel Perinèo, / abbandono il disegno delle labbra (pag. 23) e, immediatamente dopo: Perigonio, all’apice del fiore / il tepalo trasmesso per scissione / lo scarto – epidurale – del pistillo / che genera con-tatto (pag. 24) e del perigonio si torna a parlare a pag. 31, rinnovando il concetto della separazione che, necessaria, genera vita, in una sorta di duplicità e di coincidentia oppositorum: si esperisce la divisione e la separazione mentre si aspira all’unità (l’Uno platonico-plotiniano è altro tema del libro). L’atto del toccare (e si tocca con le dita, ma anche con gli occhi e con la lingua – Leccare / la superficie ghiacciata del lago, ad esempio, a pag. 38 – o con la mente e si viene a propria volta toccati dalle cose, come insegnano Lucrezio e gli Epicurei, se è vero che dagli oggetti si distaccano i materialissimi simulacra) mi sembra essenziale nel libro di Carla Bariffi, atto inteso anche come carezza d’amore ricevuta o data, per cui logico ed inevitabile appare il rapporto erotico con l’altro e con il mondo, questaRapsodia dice in più luoghi, e sempre elegantemente, senza reticenze moralistiche, ma con finissimo stile, l’amore fisico, epicureo nel senso più alto e vero, deprivato dalle banalizzazioni vulgate, fondando quello che mi sembra il senso più profondo e nascosto del libro: è come se l’io lirico cercasse, contemporaneamente, di percepire coi sensi, comprendere con l’intelletto, avviluppare col proprio slancio erotico e sessuale, dire nella scrittura la realtà, cosa che procura contemporaneamente piacere e struggimento, slancio e consapevolezza di possibili fallimenti. Il piacere catastematico, cioè non superficiale né momentaneo, ha a che fare con l’arduo raggiungimento della saggezza, con la pienezza che, corpo e mente insieme, esperiscono nel loro essere vivi. Si tratta di uno sforzo titanico che, inevitabilmente, è costretto ad esprimersi in questa catena di momenti rapsodici, a porre sulla linea cronologica del testo i successi, le cadute, gli spasmodici slanci, le pause di riflessione che ne derivano. Idealmente, però, è come se il libro avesse bisogno di essere letto tutto in un unico istante, interessante sforzo immaginativo che, ancora una volta, ci riconduce all’idea presocratica e del Platone esoterico della sapienzialità non irrazionale né tanto meno arazionale, ma precedente la tecnicizzazione e la parcellizzazione del sapere; e c’è anche l’amato Wittgenstein, il filosofo consapevole del fatto che il linguaggio non sia in grado di esaurire il reale, ci sono Pascal e Cioran (citati tutti e tre in una splendida, geniale quartina a pagina 26:Pascal, Cioran, Wittgenstein / si accovacciano con me sul balcone / – hanno questo privilegio – / rivivere in un’età che è d’argento). Si tratta dei filosofi che mettono in discussione le idées reçues, ma anche di filosofi-poeti per atteggiamento mentale e per stile di scrittura, di outsiders del pensiero occidentale, di pensatori che non separano l’atto intellettuale da quello intuitivo, né la mente dal corpo senziente (si pensi a Cioran e al tema del dolore e della “caduta nel mondo”). A tal proposito riporto una strofa che mi ha fortemente impressionato per originalità e forza espressiva, per naturalezza del dettato e densità concettuale:
Si cerca una parola,
poi segue la premonizione.
Un fiore di zucca impregnato di pastella
sfrigola nell’olio, s’indora.
Lo assesto bene con le dita
(deve aderire al calore).
Ogni cosa buona è imbevuta di prana (pag. 16).
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Nella cittadella di Micene ho fotografato l’ostinazione di questa pianta, rigogliosa sulla roccia infuocata della fine di luglio del 2012.
Ammiro la capacità dei veri poeti di servirsi di oggetti e situazioni assolutamente quotidiani per dire, con apparente semplicità e naturalezza, ma in modo alto e pregnante, quello che altri scriverebbero in molte (troppe) pagine. Nella Rapsodia in rosso accade allora che un fiore di zucca sappia far sentire il suo profumo e il suo sfrigolio nell’olio bollente, così come la parola poetica giusta e necessaria dovrebbe saper fare e che, soprattutto, il calore vitale impronti di sé l’esperienza ed il dire. È la bellezza, o meglio, la Καλοκαγαθία (e spiega Carla che Kalokagathia èquello che la grecità comprende / primato spirituale / di bellezza e poesia, pag. 12) l’astro solare verso cui tende tutta la Rapsodia, per cui questo poema e filosofico ed amoroso contiene in sé il rosso del sangue, quello della passione erotica, quello di cui si tinge il lago in certe ore del giorno e, a riprova dell’esigente lavoro sulla parola e sui concetti (ha ragione Ivan Fedeli che nell’introduzione sottolinea il valore “progettuale” del libro), a riprova di questo, dicevo, esiste tutta una serie di rimandi all’operazione del “de-strutturare” e “ri-costituire” il verso, l’immagine, il concetto, la percezione, assieme agli accenni alla geometria frattale che, mi accorgo, comincia a suggestionare più di un poeta; nel caso di Carla Bariffi il frattale è coerente con l’indagine che la poetessa di Bellano compie sulla bellezza, dal momento che, sostengono le neuroscienze, la mente riconosce già in se stessa la presenza e, appunto, la bellezza delle medesime forme frattali che si ripetono dal microscopico al macroscopico. Lo ammetto: sarà che conosco la passione totalizzante di Carla per la Grecità e per la filosofia, ma non so non pensare ancora una volta al Platone che teorizza la realtà come specchio o ombra del mondo delle Idee, né ai grandi poeti-filosofi e viceversa, filosofi-poeti, come Parmenide ed Empedocle, capaci di comporre poemi sapienziali e scientifici in esametri d’incomparabile bellezza, senza dimenticare che i nomi di Plotino, di Anassagora, di Platone stesso compaiono già, ben esplicitati, nella Rapsodia:
Sinusoidi morbide
i tracciati creativi dell’Arte
che puoi controllare.
Appaiono più dimensioni
aperte ad ogni congettura (pag. 23).
Abbiamo bisogno di spazi
da sincronizzare alla luce di un dire
dettato da ciò che ci accade (pag. 31).
L’isolamento
è condizione preliminare
per ascoltare ogni vibrazione.
La legge del cosmo è rigore
- infilato in minuscole crune -.
Dal gene incapsulato nella sabbia
la mia particella di Dharma compone
le rocce di Petra (pag. 42).
Ecco spiegate, a fine lettura, le due pagine (la 14 e la 15) dedicate alla sinfonia di Dvorak Dal nuovo Mondo, luminosa suggestione e metafora del mondo nuovo cui la poesia e l’indagine filosofica cercano di approdare, fedeli entrambe a quell’olos(il tutto nella sua completezza) che pone se stesso come promessa e miraggio, conquista e struggente, continuo sottrarsi.
olea fragrans rubra
Olea fragrans rubra, che è anche il titolo originario del libro, poi cambiato in fase di stampa: si tratta di una pianta profumatissima diffusa nei giardini lungo i Laghi lombardi (Sereni la cita in una sua lirica intitolata Settembre).
Tre inediti
L’altro da me, l’altro da te
strutturano un se che comprende
l’invisibile legame tra gli opposti.
è lo scettro che l’uomo vorrebbe
elevare ad immagine del mondo.

* * *

La Madre nutre il figlio
nella notte
provando un piacere assoluto
(che potrebbe apparire egoista)
poichè va a collocarsi nell’intimo
Essere parte dell’Essere.

* * *

Si mantiene intatto, il cuore
se vuoi preservare la casa.
La cicatrice è una piccola ruga,
ramifica nell’organo di fuoco.

3 commenti:

  1. Grazie Antonio, è uno dei regali più belli di questo nuovo anno!
    il secondo sai qual'è :-)

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  2. Bella questa nota, questo accostamento di "intenti" che solo una lettura approfondita può esordire. Si aprono nuovi spunti di avvicinamento alla tua poesia Carla.
    Un applauso a Antonio Devicienti

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    1. Grazie Tiziana, infatti sono veramente grata ad Antonio per aver espresso così bene, così approfonditamente, la mia poesia, il mio sentire, la mia sensibilità...è un regalo bellissimo che va ad aggiungersi a quelli altrettanto belli dei miei cari lettori (critici e non).

      non è necessario essere critici per dare le proprie impressioni in base alla propria formazione letteraria, al proprio pensiero, alla propria sensibilità.

      un applauso grande! :-)

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