martedì 29 aprile 2014

Latitudini delle braccia, Nino Iacovella


“Per tutti l’incubo della guerra
non si disfaceva mai nei risvegli, e i pensieri
non erano mai così distanti dai sogni.”


Apro così la lettura di “Latitudini delle braccia” di Nino Iacovella, un titolo che già di per sé delinea la capacità delle braccia di accogliere il mondo, di proteggerlo, di difenderlo se necessario.

La memoria viene a galla per tracciare passi di un percorso che attraversa il tempo

Il tempo ci fa rielaborare il lutto,
di quando da bambini all'imbrunire
tornavamo a sfidare la paura
sulla soglia di una rupe

Un viaggio nel passato attraversato dalla guerra lungo il tracciato storico della memoria di un padre, lungo le braccia che lo accompagnano sempre, per difesa o protezione, sempre protagoniste nella lotta e nel dolore, per custodire le immagini. (scatti di polaroid).

Dalla prospettiva delle case crollate
non c'è via di scampo,
una dispersione di volti
e braccia, un freddo
che avvicina a Dio.

Gianpiero Neri paragona alle opere del Goya certi scenari della sua poesia dove il campo di battaglia è messo in primo piano, e commenta con una sintesi perfetta la bellezza del poema, dando luce a quegli occhi che tanto hanno appreso dal dolore della guerra, dal coraggio delle madri ma anche dalla loro mancanza.

Alessandra Paganardi non è da meno, con la sua accurata prefazione accosta la poesia di Nino ai chiaro scuri del Caravaggio per l’atmosfera nitida che sanno evocare, ma anche Escher fa il suo ingresso, l’inganno di Escher lo nomina Iacovella nella poesia di pag. 105, dove le scale mobili fanno da isolante alla freneticità dell’ambiente caotico dei centri commerciali, dove la massa diventa parte del paesaggio e l’uomo ingranaggio di un sistema.


Da: Food for the ants
“Seems like the ants love me, why they do?”
Yuppie flu

Ma le parole di saluto sono inceppate
tra il rollio della scala mobile
e il reparto delle giostre per l’infanzia
dove il gioco del braccio meccanico
è come un monito per i peluche,
una presa che oscilla nel vuoto,
una forza sgraziata che non sa stringere

(Ipermercato, dicembre pag. 88).

* * *

Iacovella ha il merito dello slancio narrativo, della sintesi poetica incisiva, descrivendo e scavando in modo magistrale fin nel luogo del male, come ben si può rilevare dalla lettura di: Gastroscopia (pag. 73)

Annusa la voragine, sceglie il percorso
a testa in giù, passando l’esofago
sonda ciò che è interno
il luogo del male
poi sfocia tra le parti acide, si tuffa
così vicino al muscolo del cuore

Ecco, ora il medico può osservare
in quel magma la consistenza del dolore
il su e giù tra la bocca dello stomaco
e il nodo alla gola

Ma il referto è quello
non c’è verso di scansare quel pugno chiuso
all’altezza del diaframma

La pancia è un ring: i colpi
i montanti sotto lo sterno
tolgono il fiato,
le notti senza sonno

poggiato allo schienale del letto
come un pugile stai giù con la testa

ti rannicchi all'angolo

 * * *

Qui il poeta si dimostra specialista della descrizione, esamina, sonda i meccanismi del male, li misura con il bisturi della ragione.




È interessante notare, nei suoi componimenti, la mancanza di punteggiatura alla fine di ogni poesia e alla fine di ogni verso. Solo le virgole si fanno spazio e lo spazio si fa pausa dove è necessario respirare…è una scelta tecnica che delinea sicurezza nella stesura, apertura verso altro spazio da compilare.

A volte torno quel bambino che piange
quando si spegne la luce,
e rivedo mia madre nel dubbio:
avrà fatto bene a non nascondermi la paura
a farmi vedere l’oscurità, il buco nero del corridoio
dove tutti sappiamo bene che il lupo
spalanca ancora le sue fauci

* * *

*La poesia non può cambiare l’ordine
del dolore*


L’ordine del dolore, lo chiama Iacovella, perché riesce a catalogarlo, a renderlo “scatto” di un tempo, all'insegna delle battaglie, che pare eterno.

* * *

giovedì 24 aprile 2014

Prospettive

*La natura non ha corteccia, afferma Goethe
ma gli alberi si! affermo io*




Crede di sobbarcarsi ogni merito il poeta, solo perchè tocca certi argomenti universali, intimi, lirici...solo perchè, nella sua infinita presuntuosità, indossa per un attimo i panni di Dio e sentenzia parole!

(dedicato ai poeti emergenti).

martedì 22 aprile 2014

Attica forma, Roberto Michilli


Nuovi versi, Aprire un giorno, Attraverso la vita, L'orma lieve: questi i libri ricevuti da Roberto Michilli. Era il 2012 e avevo appena terminato la lettura del suo romanzo: Desideri.

Nella poesia di Michilli si avverte la brevità, l'attimo che sfugge, la forma perfetta di una scultura.
La bellezza introspettiva si fa sguardo che il poeta volge alla natura, al paesaggio, fermandolo in istantanee come visioni emergenti, superfici e colture da interpretare nella loro essenzialità, per ciò che rivelano della trasparenza e della ruggine.

da: Aprire un giorno

Dal limbo pietoso che accoglie
il tempo perduto
giunge un ricordo
scritto dalla luce.

Mi ricorda Ungaretti, in componimenti come questo, ma anche Quasimodo, Mallarmè (che ha splendidamente tradotto) Francesco Messina (scultore e poeta).
Riporto alcune sue poesie dove il gesto si fa: "tepore di braci" e la memoria malinconia di sguardi.

da : Nuovi versi e Aprire un giorno


Fermarsi sul confine incandescente
dove le cose nascono dal nulla.
Guardarle con amore all'apparire,
specchi dell'invisibile,
destinate a cadere come noi,
che diciamo i nomi e le salviamo.

Rosa Iceberg


Questa neve improvvisa
nella sera d'aprile.
La tua corsa a proteggere i gerani
appena trapiantati.
Eccoti sul balcone a piedi nudi
mentre fai, come sempre,
la cosa giusta.
Intanto il mondo intorno uccide e guarda
in un'orgia di parole.

*

Del gran fuoco di un tempo ormai non resta
che un tepore di braci,
una cara abitudine
dell'anima e degli occhi.

*

Se a dividerci fossero
alti muri di pietra,
potremmo scavalcarli
oppure abbatterli;
invece il tempo,
trasparente sostanza,
alza muri invisibili
separa e non lo annuncia.

*
Lasciarsi andare
al divenire che non è mai stare.
Esporsi
senza perchè
nè speranze.
Il paradiso non è necessario.

*
Appari all'improvviso nella sera
quieta d'ottobre
e col tuo passo rapido attraversi
la strada e la mia carne.


*Masri, autoritratto*

                           

Siamo il passatempo di noi stessi,
impariamo insieme il tempo e la morte.
Nel mondo alla fine degli incanti,
Sisifo è il nostro eroe.
L'esistenza è una forma
di ostinato cinismo.


   La fine degli incanti, da: L'orma lieve






Poesia riflessiva, a sfondo filosofico, da meditazione oserei dire...quella che io prediligo.
Uno dei miei punti forti è il saper selezionare il meglio, togliere la parte lirica, evidenziare l'essenziale.
Mi piace fare composizioni di gusti diversi, in questo caso anche olfattive....ho aggiunto componenti come fossero ingredienti..un pizzico di oriente, zenzero puro (il volto di Masri), Le rose iceberg per la loro perfezione architettonica, la forma attica del vaso greco, con Apollo e .....
lo scopo delle mie recensioni è sempre creativo, desidero che emerga la parte risonante, quella sepolta nella nostra memoria, desidero che la lettura si allacci ad altre letture, le nostre precedenti, e vada a formare un mosaico musicale che arricchisca il pensiero. 



lunedì 14 aprile 2014

Mescolanza di origini




Vivo in un'altra epoca

me ne accorgo mentre salgo le scale
in pietra, di corsa
mentre sistemo i vestiti nell'armadio

antico, antichi

- scarto e non vorrei -

è tutto antico, quì

come le lacrime che si sciolgono sulle note di Bach,

come i fiori che sbocciano sempre

e sempre vengono recisi

come l'enciclopedia che cerco disperatamente

per trovare un senso alle parole.



Ma i tasti sono infiniti.

venerdì 11 aprile 2014

Narciso

La nuda proprietà
il mito che accompagna
lo specchio al suo confronto
(il viso riesumato).

La de composizione
è la base di ogni rinascita.

*

Non è la scienza
la musa del poeta.

Il poeta lavora con i sensi.

*

Narciso
e Boccadoro
dualità tradotta in estremi.
L'artista ne fa le veci.
Giocoliere del caso
mai della ragione.




mercoledì 9 aprile 2014

A bassa voce, Ivan Fedeli – Ed. CFR – Nota di lettura di Carla Bariffi





(La poesia. Ferita, sollievo
Incontro, abbraccio. Avrai mani per tutti
Se pure tu saprai ferirti un giorno,
figlio di un’epoca priva di padri).


La musicalità poetica di Ivan Fedeli  si svolge come un nastro di Moebius lungo il percorso della nascita, verso l’accoglienza nel mondo, descrivendo le impressioni di un padre , il suo stupore, le sue inquietudini.
È un percorso faticoso, recitato a bassa voce, mantenendo, lungo tutto il contesto, la forma che da sempre gli è congeniale; la struttura dell’endecasillabo.


Meglio un silenzio, indicarti l’azzurro,
il biancore delle fiabe innevate
prima dei sussurri, dei suoni flebili
in cerca di parole. Nel linguaggio
è la gioia e il dolore: sillabare
tutto con premura, per poi lasciarti
andare con un passo quasi stabile,
ciondolando un po’ tra verità e sogno.
Ma un sentore impercettibile, un fremito
Tra sinapsi e placenta per nutrirti
Come proteina e dirti cos’è il mondo,
se fallimento, stupore o il vigore
per trarre dalla debolezza forza,
dal peccato grazia, perché per essere
si nasce ogni giorno cercando il meglio
anche nella negazione.

È un invito ad esplorare, al di là del rischio, il possibile vaccino.

[…] Tu spingi la mano ben oltre,
scopri la vita di un fiume per l’acqua
copiosa, non come la melma intesa
a fermare il fluire. Nell’acume
il segreto, vedere più in là, aprire
lo sguardo al divieto forse è il vaccino.

Il dettato di Ivan Fedeli si fa plasma, descrivendo la poesia nella sua forma primordiale, divenire di un linguaggio prima ancora che materia.

Poesia, sostrato che s’agglutina,
madre placenta mia che si fa tua
ancor prima di esistere, restare.

*
Sapere così di essere la stessa
Cosa, liquido amniotico, pensiero,
linguaggio: tutto in un sottile nodo
per certezza di unità, osmosi, come
gemma che si duplica restando una
o stupore di cellula tra tante
nell’atto di aggregarsi pienamente.

*

(secondo piano, ore sette: la donna
si affaccia sbattendo tappeti. L’anima
è lì, nel pulviscolo che tracima,
nei pezzettini di pane d’avanzo
disordinati della sera prima).

A bassa voce, il poeta descrive anche il mondo intorno alla meraviglia della nascita, quello che lo abita precariamente, celebrando il disincanto dell’esistenza, quello che accetta passivamente lo scorrere dei giorni, le vie trafficate, il cemento che ci porta via l’ossigeno.

lunedì 7 aprile 2014

Narcisi ad aprile

è importante
un riferimento del cuore
per sentire la vena pulsante
mentre ti affanni a pulire i calcinacci
da un muro troppo umido,
mentre penso a certi versi di Rimbaud
ripenso "La corrente d'oro in movimento,
muove le sue braccia nere e pesanti..."
Penso all'acqua chiara
di una memoria nuova.
Rileggere fa bene.




Presto il buio scioglierà i suoi languori
e io mi lascerò assorbire
da ogni sfumatura del paesaggio.
- la mia casa, le mie ossa -
Sezionerò la luna mentre dorme
e i sussurri del mio cuore
nel suo primo quarto che avanza.

*

La neve si sta sciogliendo
sulle montagne a ovest
- Lettere a un giovane poeta -
Scriveva Rilke, a un presunto poeta.
"Una opera d'arte è buona s'è nata da necessità.
In questa maniera della sua origine risiede il suo giudizio,
non ve n'è altro. [...]
Penetrate in voi stesso e provate le profondità in cui balza la vostra vita;
accoglietela come suona, senza perdervi in interpretazioni."
Penso a quanto aveva ragione
dichiarando il cuore protagonista
e la propria storia poesia.

*

Fissa gli altri gatti col suo sguardo malato
di fronte al banchetto
- il sangue è un grumo sul muso -
Le mosche lo circondano, ostinate
ma più ostinato è il rosso del suo pelo,
l'illusione del suo desiderio.


.



giovedì 3 aprile 2014

Dolore della casa, Sebastiano Aglieco

Prigioni

Ecco: il mistero delle mani di fronte ai
simili, illumina, custodisci, in questo tempo
di monti che colpiscono la fronte
la voce di un nuovo viaggiatore.
Essere nel tempo, senza tempo
questa è l'illusione. Questo sento
questo vedo: cambiamento dei
capelli, e della pelle, prigioni in 
ostaggio della mente.
Non c’è nessuna scusa
per ciò che è stato.
Rimane il mare.

Destino è tornare al nome che ti ha dimenticato.


“Dolore della casa” di Sebastiano Aglieco
Il Ponte del Sale, Rovigo 2006



Leggo le prime pagine del libro, e già mi inoltro in un percorso che porta all’intimo rapporto con la Madre, madre intesa come figura salvifica, madre come rifugio e protezione, madre bambina, madre di tutte le madri. È un percorso difficile, delicato, autentico, perché Sebastiano è poeta del dono, della parola che si fa pane e vino, custodi di un sentire legato alle radici della terra, alla suggestiva necropoli di Pantalica, la cui presenza permea lungo tutto il componimento conferendogli un tono di protezione eterna che solo in certi luoghi si respira come fosse una casa: ‹‹custodiscimi dunque / nascondimi … / [...] / esponimi al silenzio di tutte le stelle››.


Offerta, Esilio, Nome, Ritorno, Prigione, Memoria, Viandante, Occhi, Bocche, Luce...
alcune delle parole chiave di questo percorso nel *tempo senza tempo* della nostra esistenza .
Aggiungo alcune tra le poesie che mi hanno maggiormente colpito per la loro forza e incisività:

Dominio dell’acqua si apre così:

Eppure è solo un nome che
ci lega a qualcuno, a qualcosa
la pronuncia del nostro nome.


Tu sei Nessuno, ricordalo sempre
e ogni città te lo ricordi;
essere del vento
di una voce che ti ha riconosciuto
ogni poeta è figlio di un’ora, o di un’ombra.
Un dio non conosce i passaggi della mente
e il porto è solo un’illusione
perché gli occhi possano riposare.
Oltre ci sono i passaggi della mente
e il porto è solo un’illusione
perché gli occhi possano riposare.
Oltre ci sono passaggi, fratture della terra
le insenature della pelle.

*

Non ricordo, non mendico.
Ecco la durezza: essere con te in una
forma della bellezza che redime
le parole, parole mai dette nel
timore. Questa la condanna
dei vivi: tradire i tuoi secondi
mangiare il pane dei morti nella tua
bocca incuneata in me senza il timore
della luce, senza tepore nelle mani.
…e freddi vedremo gli occhi
nello sguardo di un dio, tutto sarà
chiarito e battezzato, tutto splenderà
in un sogno, e sarai di nuovo quella della
foto seduta davanti casa, su un muretto.

*

Piove, piove, piove
devo tornare a casa
fermare la tua immagine distanziata
in un colore freddo della non-memoria
dove tutto è contenuto in un altro tempo
un tempo più pulito e più sincero
riaperto alle mani
al mondo dei bambini.

*

Il mastice sutura la tua bocca
in questo silenzio abissale delle bocche
ma io rimango un po’ distante
nessuno osa toccarti la faccia.
Questo ho tracciato tra i
miei occhi e i tuoi, questa
pioggia attesa, questo
freddo delle tue giunture.
Avrai il tempo di guardarmi, come
si guarda il bambino per la prima volta
ti accoglieranno i bambini come
hanno fatto oggi:
“Ben tornato, maestro
faremo del nostro meglio”.
Contro la cattedra
stretto nei loro corpi luminosi, in coro.

I bambini si mangiano la morte.

*

Questo dono del riso è per sempre, ridete
ridete, bambini, accoglietela nella piccola
casa, nella casa sua rifondata, nel colore
della sera. Perché niente è tutto quello che
non sia uno stare nella luce, l’ordine delle
nostre giunture, i vestiti puliti della festa
gli occhi, bellissimi, per sognare.

*
Chiedo a ogni cosa il suo silenzio
le mani abbracciate nella veglia
dei vivi. Senza bocche, i fiori che
traducono in odore la loro assenza.
Questo sarà nel tempo:
il pegno di uno sguardo muto
il ritorno dei tuoi occhi trattenuti.
Torneremo nella strada dei viandanti
in un tempo più buono della resa
i Dormienti chiederanno un nome
un bacio.




I bambini che siamo stati ritornano nell'ora tarda, dicono quando ce ne andiamo. Forse per questo nei tuoi ultimi pensieri le campane suonavano da sole; e mi vedevi ancora li, bambino sospeso sulla balaustra, dove m’innalzavi al vuoto, alla luce dei tetti. Perdevo il respiro, e ancora quella luce, quel vuoto, non mi lasciano respirare.


La memoria come bene sommo, bene da custodire, bene da tramandare. Questo ricevo dalla poesia di Sebastiano, il dono delle mani e della voce, di un tempo che ci appartiene e che va protetto.