mercoledì 21 settembre 2016

Ontologia del Poeta




Ci sono due tipologie di poeti: la prima non legge nessun poeta, la seconda ne legge molti, anche troppi.
La prima produrrà una serie di presuntuosi che si spacciano per avanguardisti, ma semplicemente vanno ‘ad lumen nasi’, o peggio ancora confondono la poesia con il primo pensiero che frulla in zucca, sono insomma degli ignoranti, dei supponenti, dei palloni gonfiati – e facilmente li si sgonfia… Hanno un’idea solipsistica, onanistica dell’arte, ma che cos’è l’arte se non dialogo col mondo? (autori, lettori, critici, politica religione, costume, e ovviamente la tradizione).
La seconda categoria è quella dei poeti DOC. Il rischio per loro è di sentirsi psicologicamente schiacciati dalla validità o dalla forza o dalla bellezza dei poeti che essi hanno letto. Il pericolo è di fermarsi alla contemplazione, all’ammirazione che toglie la parola di bocca e non vedere gli inevitabili punti di debolezza della loro poetica (che sono poi gli stessi del loro rapporto con il mondo, generati dagli stessi meccanismi mentali).
Il segreto è: leggere, certo, ma pensare nel contempo in modo critico, ossia il saper misurare la via che uno ha intrapreso, ma nello stesso tempo chiedersi se non si possa fare in altro modo, sviluppando intuizioni che inevitabilmente da qualsiasi lettura ci provengono, rispecchiando il nostro tempo ma parlando a tutti i tempi. E’ dalle letture che nasce lo stimolo, perché nella lettura misuri la personalità, il carattere, la psicologia, la visione del mondo di chi scrive e ti rendi conto delle soluzioni che egli ha adottato. In un certo senso ti metti in colloquio con lui e poni domande, contesti, approvi, sviluppi alternative, ecc. ecc. E’ sulla poetica che bisogna ragionare, a cominciare dalla piccolissima, prima ma decisiva domanda: perché io scrivo?
Ti confesso che non ho ancora risposto a questa domanda, ma a volte mi sorge il dubbio che se vi rispondessi smetterei di scrivere, esattamente come se scoprissi con certezza l’esistenza di Dio perderei la Fede. Tuttavia è necessario formularla, e riflettervi a lungo, sapendo che ogni risposta non è quella, o meglio, può essere una risposta per il momento, non definitiva. La tua poesia è, in qualche modo, la tua ontologia.
Dunque, leggi (almeno tu che hai tempo…) ma non lasciarti schiacciare, mettiti in rapporto dialettico con la loro poetica e troverai la tua poesia, che scaturisce non da altro che con il confronto critico con la tradizione e ovviamente i contemporanei.”



[Gianmario Lucini]

4 commenti:

  1. Questo breve scritto sulla poesia, ma che potrebbe valere per la cultura in generale, mi ricorda l'opera di Nietzsche "Sull'utilità e il danno della storia per la vita", in cui il grande filosofo tedesco distingue tra un vivere in un orizzonte "senza storia" che permette all'individuo di agire troppo liberamente, facendolo scadere nell'arbitrio e in una incapacità di costruire un destino, e un "eccesso di storia" in cui un uomo si sente tanto suggestionato dalla grandezza del passato da finire con l'agire in maniera puramente imitativa rispetto a ciò che già c'è stato o con il non agire affatto. Secondo Nietzsche, per poter essere storicamente produttivi, bisogna necessariamente avere un orizzonte storico (culturale) ma non troppo vasto, in modo tale da poter "produrre vita" secondo un giusto senso critico e senza scadere nell'immobilismo.

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    1. in sostanza bisogna avere una visione d'insieme per poter esprimere un'opinione "spassionata" su qualcosa e certo chi sperimenta, chi spazia con lo sguardo, chi si apre agli orizzonti, ha molte più possibilità di considerarsi Individuo. Chi ha un orizzonte limitato avrà solo la sua cerchia di lettori, in poesia e nella vita.

      Good bye!:-)

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