venerdì 22 aprile 2016

Teatro delle conversazioni. Gianmarco Pinciroli






…il lento, impercepito dipanarsi

dal filo dell’alba al tessuto

che ti cresce tra le mani verso sera

e non ti copre più che tanto il volto…






1.





… in queste rose di nebbia, oggi, febbraio


ci sono e non ci sono segni, fruscii


di una qualche umanità corrosa


dall’abitudine ad essere volatile…





… nessun esperimento, solo sintassi


a collegare le più semplici parole


ne viene un po’ di senso, forse troppo


per chi ama i fili sospesi sull’abisso…





… fuggirsene, concetto di rimprovero


per qualche forma antica di viltà


ben conosciuta da chi ne fa esercizio


di bella scrittura, calligrafia del cuore…





… maschere infinite, tutt’attorno al totem


della condiscendenza ben volente, anche


tu lì attorno, chi lo direbbe mai, eppure


sei transitata, con la ‘cartella’, indifferente …





2.





… “vorrei che le ferite che mi hai inferto


in fretta rimarginassero, domani, oggi


ora che te lo sto dicendo…”, così dunque


l’amore muore e cerca attorno vita…





… risponde allora “nulla che ti serva


io sono in grado di fornire, almeno


per quanto riguarda l’oggi…”, resta


in sospeso il domani nella nebbia…





… anni e anni, sono passati anni


sotto i ponti sottili del pensiero


che nell’amore pensa: consumazione


dell’amore, niente più che tedio…





… chissà perché risorge dal sepolcro


proprio nell’ora dell’oggi più lontano


l’immagine crudele, il sorriso vuoto


“lasciami andare, sei buono in fin dei conti…” …





… e andata infine, andata sei nel colmo


della memoria antica, astro inattinto


vertice senza il senso di un’origine


la fine scritta sin dentro la tenerezza…





… vagabondaggi, non più, per carità, soltanto


vagabondaggi, irrisolta la tua meta


disegna sul cartone ultimi orizzonti


per i passi dell’anima inconsapevole…





… dove mai – quale linguaggio: i gesti? –


intendi proporre il tuo sapere


l’albero del bene o male conosciuto


da tempo inaridito per il fulmine?...


.. non dove o quando, ma qui, ora


nessuna domanda più, poco ti resta


da respirare, poche tra queste pagine


sfogliate da mani profumate, donne…





… tu continua, in solitudine, accensione


casuale, un tuo fornello per il thè


alle quattro e mezza, sole in tazzina


tepore, inverno, un po’ prima del buio…





… “che resta?” domandi da una vita


non resta niente perché tutto è eterno


questo tuo chiedere, l’affanno, senso


che latita, tutto, non resta niente…




2 commenti:

  1. ricevo e pubblico con grande ammirazione i testi di Gianmarco Pinciroli, persona che ho avuto il piacere di leggere nella Dimora e che spesso mi ha dato spunti di riflessione verso la scrittura e verso la parola...
    Il fiore del pero credo si leghi bene a questa musicalità densa.

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  2. Grazie per l'ospitalità, e grazie per la fotografia, che immagino rappresenti ciò che si vede da una delle tue finestre. Credo che i fiori si sposino bene con le mie parole, in ogni caso mi ricordano i quadri che mio padre dipingeva, lui che amava e coltivava molti fiori nel giardino di casa sua a Laveno.

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