…il
lento, impercepito dipanarsi
dal
filo dell’alba al tessuto
che
ti cresce tra le mani verso sera
e
non ti copre più che tanto il volto…
1.
… in queste rose di nebbia, oggi, febbraio
ci sono e non ci sono segni, fruscii
di una qualche umanità corrosa
dall’abitudine ad essere volatile…
… nessun esperimento, solo sintassi
a collegare le più semplici parole
ne viene un po’ di senso, forse troppo
per chi ama i fili sospesi sull’abisso…
… fuggirsene, concetto di rimprovero
per qualche forma antica di viltà
ben conosciuta da chi ne fa esercizio
di bella scrittura, calligrafia del cuore…
… maschere infinite, tutt’attorno al totem
della condiscendenza ben volente, anche
tu lì attorno, chi lo direbbe mai, eppure
sei transitata, con la ‘cartella’, indifferente …
2.
… “vorrei che le ferite che mi hai inferto
in fretta rimarginassero, domani, oggi
ora che te lo sto dicendo…”, così dunque
l’amore muore e cerca attorno vita…
… risponde allora “nulla che ti serva
io sono in grado di fornire, almeno
per quanto riguarda l’oggi…”, resta
in sospeso il domani nella nebbia…
… anni e anni, sono passati anni
sotto i ponti sottili del pensiero
che nell’amore pensa: consumazione
dell’amore, niente più che tedio…
… chissà perché risorge dal sepolcro
proprio nell’ora dell’oggi più lontano
l’immagine crudele, il sorriso vuoto
“lasciami andare, sei buono in fin dei conti…” …
… e andata infine, andata sei nel colmo
della memoria antica, astro inattinto
vertice senza il senso di un’origine
la fine scritta sin dentro la tenerezza…
… vagabondaggi, non più, per carità, soltanto
vagabondaggi, irrisolta la tua meta
disegna sul cartone ultimi orizzonti
per i passi dell’anima inconsapevole…
… dove mai – quale linguaggio: i gesti? –
intendi proporre il tuo sapere
l’albero del bene o male conosciuto
da tempo inaridito per il fulmine?...
.. non dove o quando, ma qui, ora
nessuna domanda più, poco ti resta
da respirare, poche tra queste pagine
sfogliate da mani profumate, donne…
… tu continua, in solitudine, accensione
casuale, un tuo fornello per il thè
alle quattro e mezza, sole in tazzina
tepore, inverno, un po’ prima del buio…
… “che resta?” domandi da una vita
non resta niente perché tutto è eterno
questo tuo chiedere, l’affanno, senso
che latita, tutto, non resta niente…
ricevo e pubblico con grande ammirazione i testi di Gianmarco Pinciroli, persona che ho avuto il piacere di leggere nella Dimora e che spesso mi ha dato spunti di riflessione verso la scrittura e verso la parola...
RispondiEliminaIl fiore del pero credo si leghi bene a questa musicalità densa.
Grazie per l'ospitalità, e grazie per la fotografia, che immagino rappresenti ciò che si vede da una delle tue finestre. Credo che i fiori si sposino bene con le mie parole, in ogni caso mi ricordano i quadri che mio padre dipingeva, lui che amava e coltivava molti fiori nel giardino di casa sua a Laveno.
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