lunedì 25 aprile 2016

Geografia dell'altrove, Terra d’Ulivi 2016. Nota di lettura di Sebastiano Aglieco




Il lago visto dall’alto, gli animali, il trascorrere del tempo, la casa, il giardino, i pensieri in sintonia e distonia … questi i temi del nuovo libro di Carla Bariffi.

I testi si presentano in successione, due per pagina, senza alcuna divisione interna, non sembrano essere interessati a mostrarci una struttura, i capitoli di un romanzo. Sono, piuttosto, dislocati lungo il percorso di un binario circolare – quello del lago e delle sue stagioni – e così procedono per improvvise ed occasionali illuminazioni, sempre scaturite dalla vibrazione emotiva e sensoriale.

Elettricità, nell’aria

sui corpi cristallizza in respiro

– esplode il temporale –

Ti tengo nella mano

mia grandine improvvisa.

p. 46

Direzioni diverse

tagliano il cielo.

L’orizzonte rimane lo stesso.

– Il lago è incendiato di blu,

accoglie i nostri corpi come un’ostia –

p.14

Sono, dunque, testi “veri”, nel senso di corrispondenti a un progetto interiore, di conoscenza di se stessi attraverso l’immersione nel panico naturale, nel grembo, nella promessa di un Nulla per niente interessato all’umano, alla pietas. Piuttosto è la parola che si fa portatrice di pietas, parola rivolta verso noi stessi, per guarire la nostra incapacità di sentirci in sintonia con le voci, col respiro, con l’appartenenza.

Spesso leggiamo di lacrime scaturite proprio nel momento in cui la consapevolezza del perduto, di un pensiero ancestrale che ci rac/coglie solo a tratti, improvvisamente abbassa le difese dell’io mostrandoci il nostro abbandono, la resa.

Così largo il pianto

e lento di noi il sapere dove

fermare l’ansito

potere scioglierci.

p. 13

Carla Bariffi, a un certo punto di questo diario di segni naturali, di geroglifici, cita “Memoria” di Rimbaud: “La corrente d’oro in movimento, / muove le sue braccia nere e pesanti…”; chiosando successivamente: “Penso all’acqua chiara / di una memoria nuova”, p. 16.

Quest’acqua, che per Rimbaud è il laghetto fangoso di un parco cittadino, qui è proprio il Lario coi suoi anfratti scurissimi, le sue imprevedibili bufere, le brume, il quietarsi nei riflessi del sole in controluce.

È il luogo, dunque, lo scenario partecipe delle ferite del pellegrino che sale il monte per raggiungere la casa, tutti i fine settimana. La casa è desco e santuario nello stesso tempo, finestra spalancata verso l’esterno, luogo chiuso di meditazione frammentata e improvvisa.

Esiste una luce diversa

quando il crepuscolo scivola ed entra

dalla finestra socchiusa

– accarezza gli oggetti in silenzio –

li inebria di un corpo che pulsa.

È la luce degli avi.

p. 33

Radunare

le briciole del giorno

quando calma si fa sera

e la casa resta l’argine lontano

condiviso nel silenzio.

p. 19

La penna a sfera

giace sulla credenza

accanto al suo inchiostro notturno.

Preferisco la matita.

p. 15

È così grande la casa

quando soli

la viviamo.

Il suono propaga orizzonti

sul lago di fronte

Lo spazio – dal tonfo di neve

delle mie stanze.

p. 25

In questo discorrere nella mente del tempo delle stagioni, gli avvenimenti si dispongono come i tasselli di un puzzle, suggerendoci l’immagine di una presenza che si cela dentro gli occhi di un animale, in una pianta, nel volo di un uccello, nelle intuizioni di una riflessione improvvisa:

Così a volte vediamo un essere ferino che ha gli occhi infuocati del sangue e della vita:

Fissa gli altri gatti col suo sguardo malato

di fronte al banchetto

– il sangue è un grumo al muso –

Le mosche lo circondano, ostinate

ma più ostinato è il rosso del suo pelo,

l’illusione del suo desiderio.

p. 17

Improvviso, lo colsi

afferrare il pane secco

nel buio intermittente della notte

sagoma bianca striata sul muso

lungo come il viottolo deserto.

È bastato un fruscio sotterraneo

a dileguare la sua occulta presenza.

Il gatto lo osserva con me

senza muovere un pelo.

p. 57

Uccelli come presenze dell’anima, come i primi pensieri del mondo:

Cerchi ampi

circoscrive la poiana

poi di colpo cambia rotta

esorta la mente a deviare.

La traiettoria dell’occhio la segue,

scompare.

p. 36

Il lento pensiero delle essenze vegetali; e la presenza che le abita:

Il noce si è intrecciato col limone

– l’aria è pregna del giallo dei cedri –

In questo giardino di ulivi

i pini sono quieti

e un canto di civetta

scandisce ogni mezz’ora.

Son qui, ad alleggerire ogni pensiero,

affondando nell’azzurro ogni mia fibra.

[il San Martino

accanto].

p. 45

Sei nel fiore del sambuco

e nel prugno che lento matura

nel grano che sale, nel ciclo lunare

che piano riverbera dentro.

p. 55

Le intuizioni monacali:

La memoria lascia buchi dolorosi

dentro la membrana

il lago distende il pensiero

la ruga profonda tra gli occhi.

È l’altezza

la cura del male.

p. 9

Testo, dunque, che si alimenta delle sporgenze e delle rientranze del magma, senza un centro, ascrivibile a un poeta del pianeta Nettuno dove, si dice, tutto sia acqua e forse sogno di una vita diversa, di una cosa chiamata terra.


Sebastiano Aglieco



da quì:

https://miolive.wordpress.com/2016/04/23/carla-bariffi-e-laltezza-la-cura-del-male/

2 commenti:

  1. Ho aggiunto le splendide azalee di Villa Carlotta e il link di Sebastiano Aglieco, persona che stimo tantissimo per la sua serietà in poesia, per il suo fiuto, per la sua meravigliosa semplicità ...

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