giovedì 3 aprile 2014

Dolore della casa, Sebastiano Aglieco

Prigioni

Ecco: il mistero delle mani di fronte ai
simili, illumina, custodisci, in questo tempo
di monti che colpiscono la fronte
la voce di un nuovo viaggiatore.
Essere nel tempo, senza tempo
questa è l'illusione. Questo sento
questo vedo: cambiamento dei
capelli, e della pelle, prigioni in 
ostaggio della mente.
Non c’è nessuna scusa
per ciò che è stato.
Rimane il mare.

Destino è tornare al nome che ti ha dimenticato.


“Dolore della casa” di Sebastiano Aglieco
Il Ponte del Sale, Rovigo 2006



Leggo le prime pagine del libro, e già mi inoltro in un percorso che porta all’intimo rapporto con la Madre, madre intesa come figura salvifica, madre come rifugio e protezione, madre bambina, madre di tutte le madri. È un percorso difficile, delicato, autentico, perché Sebastiano è poeta del dono, della parola che si fa pane e vino, custodi di un sentire legato alle radici della terra, alla suggestiva necropoli di Pantalica, la cui presenza permea lungo tutto il componimento conferendogli un tono di protezione eterna che solo in certi luoghi si respira come fosse una casa: ‹‹custodiscimi dunque / nascondimi … / [...] / esponimi al silenzio di tutte le stelle››.


Offerta, Esilio, Nome, Ritorno, Prigione, Memoria, Viandante, Occhi, Bocche, Luce...
alcune delle parole chiave di questo percorso nel *tempo senza tempo* della nostra esistenza .
Aggiungo alcune tra le poesie che mi hanno maggiormente colpito per la loro forza e incisività:

Dominio dell’acqua si apre così:

Eppure è solo un nome che
ci lega a qualcuno, a qualcosa
la pronuncia del nostro nome.


Tu sei Nessuno, ricordalo sempre
e ogni città te lo ricordi;
essere del vento
di una voce che ti ha riconosciuto
ogni poeta è figlio di un’ora, o di un’ombra.
Un dio non conosce i passaggi della mente
e il porto è solo un’illusione
perché gli occhi possano riposare.
Oltre ci sono i passaggi della mente
e il porto è solo un’illusione
perché gli occhi possano riposare.
Oltre ci sono passaggi, fratture della terra
le insenature della pelle.

*

Non ricordo, non mendico.
Ecco la durezza: essere con te in una
forma della bellezza che redime
le parole, parole mai dette nel
timore. Questa la condanna
dei vivi: tradire i tuoi secondi
mangiare il pane dei morti nella tua
bocca incuneata in me senza il timore
della luce, senza tepore nelle mani.
…e freddi vedremo gli occhi
nello sguardo di un dio, tutto sarà
chiarito e battezzato, tutto splenderà
in un sogno, e sarai di nuovo quella della
foto seduta davanti casa, su un muretto.

*

Piove, piove, piove
devo tornare a casa
fermare la tua immagine distanziata
in un colore freddo della non-memoria
dove tutto è contenuto in un altro tempo
un tempo più pulito e più sincero
riaperto alle mani
al mondo dei bambini.

*

Il mastice sutura la tua bocca
in questo silenzio abissale delle bocche
ma io rimango un po’ distante
nessuno osa toccarti la faccia.
Questo ho tracciato tra i
miei occhi e i tuoi, questa
pioggia attesa, questo
freddo delle tue giunture.
Avrai il tempo di guardarmi, come
si guarda il bambino per la prima volta
ti accoglieranno i bambini come
hanno fatto oggi:
“Ben tornato, maestro
faremo del nostro meglio”.
Contro la cattedra
stretto nei loro corpi luminosi, in coro.

I bambini si mangiano la morte.

*

Questo dono del riso è per sempre, ridete
ridete, bambini, accoglietela nella piccola
casa, nella casa sua rifondata, nel colore
della sera. Perché niente è tutto quello che
non sia uno stare nella luce, l’ordine delle
nostre giunture, i vestiti puliti della festa
gli occhi, bellissimi, per sognare.

*
Chiedo a ogni cosa il suo silenzio
le mani abbracciate nella veglia
dei vivi. Senza bocche, i fiori che
traducono in odore la loro assenza.
Questo sarà nel tempo:
il pegno di uno sguardo muto
il ritorno dei tuoi occhi trattenuti.
Torneremo nella strada dei viandanti
in un tempo più buono della resa
i Dormienti chiederanno un nome
un bacio.




I bambini che siamo stati ritornano nell'ora tarda, dicono quando ce ne andiamo. Forse per questo nei tuoi ultimi pensieri le campane suonavano da sole; e mi vedevi ancora li, bambino sospeso sulla balaustra, dove m’innalzavi al vuoto, alla luce dei tetti. Perdevo il respiro, e ancora quella luce, quel vuoto, non mi lasciano respirare.


La memoria come bene sommo, bene da custodire, bene da tramandare. Questo ricevo dalla poesia di Sebastiano, il dono delle mani e della voce, di un tempo che ci appartiene e che va protetto.

3 commenti:

  1. La scultura in marmo bianco e il giardino con l'angelo sono foto che ho scattato a Villa Vigoni, sopra Menaggio, l'anno scorso in occasione di un viaggio.
    mi sembra si accostino bene alla poesia di Sebastiano...

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  2. Tutto molto bello, approfondito con perizia e amore per una poesia, come quella di Sebastiano Aglieco, che tocca le corde più intime del nostro sentire e pensare. Le foto poi, sono stupende! Grazie Carla per questa tua lettura. Rosa Salvia

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    1. grazie mia cara, mi fa molto piacere averti qui a leggermi :-)
      mi assento per due giorni, vado al mio solito eremo in montagna
      ho bisogno di quiete...

      un bacio

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