mercoledì 17 aprile 2013

La poesia che “serve” a qualcosa - di G. Lucini

C’è la diffusa convinzione che la poesia, così come la filosofia, per essere tali in modo autentico non debbano “servire a nulla”, nel senso che non debbano essere pensate e scritte in vista di un qualsiasi scopo, perché lo scopo sarebbe una condizione obbligatoria, un vincolo alla libertà della poesia stessa.


Di primo acchìto vien da dare ragione a costoro, perché l’intento è nobile ma, a mio avviso, tanto è nobile quanto è ingenuo. Esiste, infatti, un’azione che si fa senza scopo? Senza un obiettivo? Non credo che possa esistere una qualsiasi attività umana senza obiettivo, se bene riflettiamo. Piuttosto, affermare che qualcosa è “senza scopo” e “non serve a nulla”, è un modo, in verità un po’ maldestro, per nascondere o nascondersi il vero scopo, che non si vuole ammettere per i più svariati motivi, non ultimo quello di evitare un conflitto fra codesto scopo e il quadro generale delle proprie convinzioni e/o della propria etica.
Piuttosto, ancora, sarebbe da meglio puntualizzare questo concetto ed affermare, con coraggio e con realismo, che l’arte non debba servire “nessuno”, non “a qualcosa”. Già il fatto che l’arte si esprime con un linguaggio non può prescindere dallo scopo del comunicare, e se comunica è ovvio che comunichi dei contenuti: è impossibile infatti comunicare il nulla, fino a prova contraria.



L’arte, la poesia, debbono dunque farsi carico di questi contenuti, ossia di una componente etica e non soltanto estetica di quanto esprimono. Un dipinto, una musica, una poesia sono suoni, parole, colori ma sono anche linguaggio e se lo sono, esprimono anche un’intenzione, un pensiero, dei concetti, delle idee, un orizzonte, un mondo che può essere reale o immaginario, vero o falso, buono o cattivo, conscio o inconscio, bello o brutto, ma sempre intenzionale. Se a un pittore viene chiesto perché dipinga, egli risponderà che è il suo lavoro, il suo sostentamento. Ma se gli chiediamo perché dipinga certi soggetti piuttosto che altri, o in un modo piuttosto che in un altro o con particolari tecniche, materiali, colori, ecc. allora dovrà rendere conto di queste intenzioni, che in qualche modo rispecchiano la sua visione del mondo e la traducono nella sua opera. La sua opera è, in altre parole, il pittore stesso e la sua pittura ha una particolare ontologia, diversa da qualsiasi altra. Lo stesso accade nella musica, nella pittura, nell’architettura, nel teatro.
Se dunque il messaggio di un artista veicola tutto questo (e molto di più), è impossibile dire che “non serve a nulla”, ma è più corretto cercare di capire, attraverso appositi strumenti critici “a che cosa” serva, ossia dove l’artista vuole andare a parare, le sue reali intenzioni che aveva al momento di scrivere l’opera.
Questo fatto, peraltro, rende ragione ai generi dell’arte, in particolar modo della poesia. Noi infatti abbiamo sentito spesso affermare: “la poesia lirica non serve a nulla” oppure “la poesia civile ha fatto il suo tempo” oppure “il dialetto non può essere la lingua della poesia” o altre cose del genere. In verità queste semplificazioni sono l’esito di uno sguardo miope sulla poesia, uno sguardo che si focalizza soltanto sugli elementi estetici e non su quelli etici della poesia, tende cioé a depotenziare il messaggio poetico o il “pensiero poetico” e ridurre la poesia a una specie di arte decorativa, di artigianato delle parole, il cui unico scopo sia l’accarezzare in qualche modo l’orecchio con le assonanze, le allitterazioni, le rime, la prosodia, la metrica, gli accenti, ecc. ecc., una specie di lallazione sublimata che si evolve dalla culla alla bara. A mio modo di vedere, questa concezione di poesia “insensata” (perché povera di senso e non perché senza senso) risponde a un criterio edonistico dell’arte come “divertimento altro” o diversivo o tentativo di evitare, con una presunta neutralità ideale, la reazione negativa di quel lettore che potrebbe essere in disaccordo su una determinata visione del mondo. Per dirla fuori dal denti: poeti come Pasolini, come Testori, o per stare nella nostra cerchia di poeti senza pretese un Guglielmin, un Cohen, un Di Stefano, un Abate, non si possono leggere senza fare i conti con una ben delineata identità politica, così come non possiamo leggere Bonsante senza fare i conti con le nostre convinzioni filosofiche o le poesie di Garbujo o un paio di raccolte del sottoscritto senza fare i conti col proprio orizzonte religioso oppure le poesie di Éderle, di Iorio, di Giugni, di Inversi o di Tanzi o di altri senza fare i conti con la propria idea di poesia lirica. Se io cerco una poesia che eviti questi scontri possibili con i gusti del lettore, la posso anche trovare, ma che cosa mi rimane? Il nulla che però non è nulla ma è la mia intenzione di scrivere una poesia che vada bene a tutti (ottenendo perciò proprio il contrario di quanto mi ero prefisso).
Di fronte a questo, è bene invece che l’artista adotti un altro comportamento, a mio avviso più coerente anche con una idea di “ruolo” dell’arte nella civiltà, che è quella di “dichiararsi”, ossia di mostrare e non nascondere il proprio mondo, "mettendoci la faccia", mettendo i risalto gli aspetti problematici del proprio pensiero, lasciando cioè spazio alla critica, allo scambio delle idee, ai contenuti. La poesia italiana ha straordinari contenuti, dal grande Dante (in molti aspetti ancora attuale) fino a tutto il ‘900 (Sbarbaro, Saba, Ungaretti, Montale, Quasimodo – così maltrattato da alcuni – Luzi, Pasolini, Fortini, Zanzotto...): i nomi più noti, sono tutti nomi di poeti che hanno portato contenuti, “poetiche” nuove fatte non soltanto di estetismi ma di “pensiero” robusto.


28 commenti:

  1. Ospito volentieri questo scritto di Gianmario che condivido pienamente.
    Bisogna trovare il coraggio di scoprire la propria anima e il proprio pensiero, solo così anche la poesia potrà essere un traguardo!

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    1. molto interessante anche il saggio che hai postato da te:

      http://golfedombre.blogspot.it/2013/04/salvatore-violante-poesia-e-neuroscienze.html#comment-form

      io vorrei scrivere un saggio sulla paura, ci sto pensando...

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  2. "ossia dove l’artista vuole andare a parare"

    ma la risposta è così semplice: laddove spera di trovare bellezza, significato, "mana" (e magari anche "money") in primo luogo per lui stesso - se poi la cosa funziona anche per qualcun altro tanto meglio. Aldilà di questa ovvietà mi sembra inutile insistere, vi si ritroverà il solito minestrone d'illusioni e razionalizzazioni, che ribolle alla lenta fiamma del sentimento mimetico più negato, e risulta quindi facilmente "smontabile".
    Lucini vorrebbe che il lettore "facesse i conti" con gli argomenti che gli stanno più a cuore, ovvero, in ultima analisi, con i complicati "contenuti" della sua stessa vita. E' comprensibile, tutti lo vorrebbero, però gli argomenti sovrabbondano. Si direbbe che quando non funzioni (o non lo faccia "a sufficienza") la folgorazione estetica, quella che nulla presuppone, invece di dire a se stessi - toh, non è poi roba così universale quanto credevo, quella che io produco - si invochi "studio", ovvero fatica altrui, ad oltranza, fino all'autocombustione, se necessario.

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    1. chi non vorrebbe fare i conti con gli argomenti che gli stanno più a cuore?
      è chiaro che se abbiamo la possibilità e la libertà di poter realizzare qualcosa di "peculiarmente nostro" io in primis non mi tiro indietro, cerco di andare al nucleo della fiamma, al nocciolo che risiede in profondità, e lo faccio con orgoglio e dedizione, perchè la fiamma va sempre alimentata.

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    2. "gli" era riferito al soggetto della principale, comunque ok, non c'è contenzioso.

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    3. e io l'ho interpretato a modo mio!;-)
      Molto eloquente il sismografo che hai desegnato Elio, complimenti!

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  3. Ho apprezzato l'intervento, ma mi sembra che differenti piani vengano mescolati. L'intenzionalità nell'arte, cioè il suo scopo, è proprio dare conto di un movimento che si sottrae ad ogni scopo ("non serviam"). La cosa paradossale è che il "fine" dell'arte non può essere assunto a fine. Ecco da dove può derivare la sua libertà. E' evidente che si inserisce in un linguaggio, in un genere, in una società, che deve essere comunicata. Tutte cose giuste. Ma se non si dà conto del suo sorgere, della sua origine, diventa un azione utile.

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    1. azione e liberazione...riflettiamo:
      c'è chi prepara con parsimonia un suo progetto
      dedicandosi all'ascolto che proviene da dentro per poi veicolarlo verso ciò che più sente affine ai suoi gusti e al suo vissuto.
      una sorta di affinità elettiva che nutre la sua anima e nutre la sua vanità. in fondo l'uomo è una combustione di arte e pensiero, innalzate al massimo grado, ed è importante conoscerne l'origine, se si vuol conoscere l'uomo.

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    2. Ciò che contesto è questo: considerare il gesto creativo alla stregua di ogni altra azione (utile e finalizzata a qualcosa). Invece la creazione è l'azione per eccellenza, in cui non c'è più io, non c'è più intenzione, non c'è più scopo. In ciò consiste la sua libertà. Ovvio che come ogni azione sia "anche" inserita in un contesto, abbia "anche" un contenuto, raggiunga "anche" uno scopo. E questa mia posizione non significa per nulla estetismo o edonismo, la classica ed esecrabile (per me) "arte per l'arte", non significa non prendere posizione per non urtare il lettore. Anzi. Non significa affatto disimpegno etico.
      La libertà non è cadere nel non-senso, ma perdere i sensi e moltiplicarli.

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    3. Un conato. Questo è la creazione artistica. Un progetto, una deiezione.

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    4. Daniele, con questo tuo commento hai evidenziato una differenza sostenuta tra l'arte visiva e l'arte pensata, la differenza fra colui che dipinge e colui che che traduce pensieri...è significativa.
      hai espresso un concetto che mi fa riflettere, l'arte visiva DEVE essere priva di ogni pregiudizio, impulsiva e libera (nonostante la tecnica) per la poesia invece è diverso, lei deve attingere dall'esperienza e dall'interno, è qualcosa che per sfogarsi ha bisogno di sentire.
      Divergono ma si allineano...queste vedute, in comune hanno un certo tipo di sentire, variabile a secondo delle varianti.
      Allora mi viene da dire: possono la pittura e la poesia incontrasi su un piano comune?
      Certo che possono, perchè l'arte, la vera arte, è libera da ogni pregiudizio.

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    5. Luca, o è un progetto, o è una deiezione, bisogna avere le idee chiare...

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    6. Cara maestra, pro-getto, pro-jectus, pro-jacere (gettare in avanti). Deiezione, de-jectus, de-jacere (gettar giù). Meco non ti mettere in cammino cse la tua bocca non sa di vino.

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    7. Caro professore, come vede c'è una *sottile differenza* tra i due termini e soprattutto nell'interpretazione che ne deriva.

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  4. *correggo un errore di battitura "un'azione utile":)

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  5. ..sì, hai ragione non si può non condividere...

    cogli sempre spunti e ne fai motivo di discussione e riflessione...

    sei troppo avanti..
    un bacio.
    m.

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  6. Voglio rispondervi con calma e con passione...per ora mi godo le vostre disquisizioni, ammirando i quadri di Rousseau il doganiere.
    Grazie!

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  7. Forse si tratterebbe di esplorare nuove e possibili geografie, territorializzazioni, come direbbe qualcuno, spingerci oltre... D'altronde sappiamo bene cosa scrisse Dante sullo scopo della poesia, quale è il suo scopo, e perché si faccia, mi sembra quel suo giudizio "ancora" valido. (ammesso che l'autore di questo testo abbia letto Dante, ho i miei dubbi). Non insisto su Dante ma mi piacerebbe che si riflettesse su quello che disse sullo scopo della poesia e se ne capisse il senso a me sembra esaustivo.

    Lo scritto sopra è di una banalità sconcertante, degno di riviste settimanali per signore.
    io sono maleducato e questo si sa e mi si perdonerà bonariamente, buon giorno Carla.

    Per quel che concerne la bellezza dell'arte ed il bello è solo una concezione estroversa (ideale) sullo scopo di qualcosa.

    sarebbe interessante rileggere il bel volume Auto da fe', di Montale, (raccolte) dove si anticipa e di molti anni i temi poi detti "Pasoliniani" sull'alienazione.

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    1. innanzitutto Dante non è Dio!
      secondo, ti consiglio di leggere i Sapienzali di Gianmario Lucini, si tratta di argomenti addirittura biblici!
      terzo, sei veramente simpatico Michele!
      ;-)

      Montale non mi è mai stato simpatico, troppo ...alto borghese diciamo
      ti consiglio Quasimodo, quello a cui Messina ha eretto una scultura.

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    2. 1) no ma ci si avvicina molto a Dio...

      2) già letti. (e lezioncine sui miti da pensierino ottocentesco e siamo nel 2012) bada niente sulla persona, ma sul modo scolare semplicistico e diciamo dualistico d'intendere.


      3) come vedi continuo con la mia sfavillante "simpatia"... ciao

      Su Quasimodo non mi esprimo.

      Non confondere alta borghesia con la Dignità... (averceli ora, un altro paio di Montale)

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    3. 1)anche leggendo Leopardi, se è per questo...

      2)salto questo punto perchè non è il tema del post.

      3) non direi proprio sfavillante, piuttosto insistente.

      se non ti esprimi su Quasimodo è perchè non lo conosci, e fai bene.
      bisogna esprimersi sulle persone solo quando si conoscono. Ti informo che prima di Montale e Ungaretti fu lui ad essere insignito del premio nobel per la letteratura, nel 1959.
      Non ti dico le invidie che scattarono poi...

      (sinceramente, più che un paio di Montale, preferirei avere un paio di belle tele di Chagall che andrò a visitare a Milano prossimamente ;-))

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  8. di Quasimodo ho letto tutto (sue traduzioni comprese). Mi sembra ovvio Carla.

    un buon sabato.

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    1. non c'è nulla di ovvio, però mi fa piacere che l'hai letto, così saprai anche parlarmene magari...
      una buona domenica a te!

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  9. dialoghi d'arcadia. Davvero insulsi

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    1. trovo più insulso il tuo commento anonimo.

      consiglio di lettura:
      *Confessioni ultime* di Mauro Corona, contiene anche un cd...
      credo che un uomo più chiaro ed onesto non esista.

      e credo proprio che gli dedicherò una recensioncina con i fiocchi!
      (adora la neve;-))

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