Ho terminato il libro poco fa, nel crepuscolo imperante della sera che accarezza le ore più belle, le sfumature più malinconiche.
Ci sono capitoli che vorrei riportare per intero, scene che meritano di essere meditate per la loro profondità.
Posso dire, a caldo, che la cosa più incisiva di tutta questa straziante storia di amore e amicizia si confronta duramente con la fredda determinazione di un rifiuto categorico; quello della badessa.
Tutta la storia ruota intorno a tre figure:
La figura di Honda rappresenta l'Amicizia, quella di Satoko l'Amore, quella di Kiyoaki, la leggerezza.
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Non mi dilungherò sull'introduzione e sulla descrizione dei vari personaggi, il conte, il marchese, ecc.ecc....ma focalizzerò l'attenzione su parti del romanzo che mi hanno colpito di più.
La lettura ha iniziato ad entusiasmarmi verso la metà del libro, quando i personaggi hanno cominciato ad intrecciare le loro storie e i loro sentimenti, quando le descrizioni sono scivolate nelle visioni, e tutto ha preso un colore e un sapore doloroso e lacerante.
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pag. 249:
La prima illustrazione erotica del rotolo raffigurava un monaco dalla veste kaki e una giovane vedova, entrambi seduti di fronte a un paravento. I disegni erano spigliati e arguti, e la faccia del monaco era realizzata come un gigantesco fallo. Poi il monaco si gettava sulla donna per abusare di lei.
La giovane vedova si opponeva , ma i lembi della veste erano già spalancati. nella scena seguente i due erano nudi e stretti l'uno all'altra, e la donna aveva un'espressione serena.
Il fallo del monaco era nodoso come le radici di un enorme pino, e per il piacere la lingua marrone gli penzolava dalla bocca.
Le dita dei piedi della donna erano dipinte con il bianco di Cina e, nel rispetto delle tradizionali regole compositive, erano profondamente ripiegate all'indietro.
Dei tremiti la percorrevano dalle cosce bianche e avvinghiate fino alla punta estrema dei piedi, dove la tensione alle dita appariva come lo sforzo con cui cercava di trattenere l'estasi sul punto di esplodere. Agli occhi del conte la donna sembrava degna di ammirazione.
Al di là del paravento, due novizi erano saliti su un mokugyo e su un tavolinetto per sutra per sbirciare dalla parte opposta del divisorio. Si trovavano uno a cavalcioni dell'altro, e non riuscivano più a frenare la loro eccitazione.
Il paravento era caduto comicamente in terra e la donna cercava di fuggire per nascondere le proprie nudità, lasciando l'abate senza la forza di muovere un rimprovero. A quel punto iniziava una scena oltremodo violenta. I membri dei novizi erano quasi della stessa dimensione della loro altezza: evidentemente il pittore aveva pensato che le misure reali dei falli sarebbero state inadatte per esprimere l'intensità della passione.
Nel momento in cui si avventavano sulla donna, vacillando sotto il peso dei falli, sui loro volti si incideva una tragica e inesprimibile comicità. Al termine di quella dura prova, la donna prima impallidiva e poi moriva. La sua anima si alzava in volo. Riappariva poco dopo tra le fronde di un salice che il vento agitava vorticosamente, sotto le sembianze di un fantasma con una vagina al posto della faccia.
Da quì il rotolo perdeva la vena umoristica per trasformarsi in un'opera sinistra. Svariati fantasmi con la vagina al posto della faccia, le bocche rosse spalancate e i capelli arruffati, attaccavano gli uomini. Questi, che correvano qua e là cercando di mettersi in salvo, non avevano difese contro i fantasmi che volavano verso di loro con la rapidità di un fulmine per strappare a morsi i loro falli. Non si era salvato neppure il monaco.
L'ultima scena si svolgeva in riva al mare, dove gli uomini nudi ed evirati urlavano e piangevano. Un'imbarcazione carica di falli appena strappati salpava verso le acque oscure e profonde del mare. A bordo vi erano i fantasmi con la vagina al posto della faccia. mentre l'imbarcazione si allontanava, i fantasmi - con i capelli al vento e le mani cadaveriche distese lungo i fianchi - dileggiavano gli uomini rimasti a disperarsi sulla spiaggia. Anche la prua puntata verso il mare aperto era modellata a forma di vagina, e un ciuffo di peli posto a un'estremità si agitava nelle spire della brezza marina...
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Piuttosto grottesca questa parentesi della narrazione, ma degna senz'altro di un posto nel girone dei dannati del caro amico Dante!
(il prossimo pezzo che mi ha colpito è la preparazione alla tonsura di Satoko).
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Pag. 274
Nel momento in cui Satoko chiuse gli occhi e iniziò a salmodiare il sutra, le sembrò di fluttuare leggera sulle onde delle voci di quel canto solenne, come una nave che levi l'ancora dopo essersi liberata dal peso del carico nella stiva. Continuò a tenere gli occhi chiusi. Al mattino la sala di culto era fredda come una ghiacciaia. Lei galleggiava sull'acqua, ma tutt'intorno si estendeva una spessa e levigata lastra di ghiaccio. Improvvisamente nel giardino un'averla lanciò un grido assordante, e per pochi istanti una crepa simile a un fulmine si aprì sulla distesa di ghiaccio.
Il rasoio scorreva sulla sua testa con estrema precisione, sollevando a volte un rumore simile al digrignare degli incisivi bianchi e affilati di un piccolo roditore, altre scivolando silenzioso come i molari di un mite erbivoro. A ogni ciocca di capelli che cadeva, la pelle del cranio di Satoko veniva punta da un freddo mai avvertito prima. Più si liberava dei capelli corvini colmi della malinconia e del calore dei desideri carnali che si frapponevano tra lei e l'universo, più sull'epidermide della testa regnava un mondo puro, freddo e incontaminato, e quanto più la superficie di pelle rasata aumentava, tanto più Satoko avvertiva una sensazione di freddo pungente simile a quella che avrebbe provato se gliel'avessero cosparsa di menta.
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[opera di Vihren Chakarov] |
Immaginò che quel gelo fosse lo stesso che avvolge il suolo di un corpo celeste senza vita come la luna nel momento in cui viene in contatto con il freddo siderale dell'universo.
Rinunciando ai capelli si stava allontanando dal mondo, e più questi cadevano più il mondo si distanziava da lei. I capelli erano una sorta di messe. Le chiome corvine che racchiudevano i soffocanti raggi estivi del sole ricadevano al suo fianco. Si trattava però di una messe senza valore e questo perchè, nel momento stesso in cui la chioma lucente veniva recisa, diventava un brutto corpo senza vita. mentre si disfaceva della parte del proprio essere che aveva la relazione estetica più intima con la sua esteriorità, Satoko si allontanava dal mondo come un braccio o una gamba recisi si distanziano dal corpo cui erano uniti.
(Quando fu completamente rasata, con aria solenne la badessa disse: "saper rinunciare al mondo dopo che ce ne siamo distaccate è la cosa più importante. Sono davvero ammirata della tua determinazione".)
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Con la sua bella voce, la badessa gli rivolse quindi un discorso di grande valore dottrinale che lui però quasi non ascoltò, scoraggiato com'era all'idea di accomiatarsi e tornare ad affrontare la disperazione dell'amico.
Indra è la divinità indiana: ogni volta che getta la rete , nessun uomo o essere vivente può evitare di rimanervi impigliato. Tutti gli esseri viventi finiscono prima o poi nelle sue maglie. Tutte le cose nascono dalla legge di causa ed effetto: questo si chiama Karma, ed è rappresentato dalla rete di Indra.
Il Trattato delle trenta strofe di Vasubandhu, il bodhisattva fondatore della dottrina yuishiki, costituisce il testo di riferimento di questo tempio, che appartiene alla scuola Hosso. La legge di causa ed effetto della dottrina yuishiki si fonda sulla "coscienza araya". Araya è la trasliterazione del termine sanscrito alaya, che vuol dire "magazzino". In esso sono contenuti i semi da cui si originano tutte le attività.
Oltre alle sei forme di conoscenza - vista, tatto, udito, olfatto, gusto e intelletto - tutti noi ne possediamo una settima: la conoscenza del mana, ovvero di se stessi.
Ancora più in fondo vi è la coscienza alaya. Nel Trattato delle trenta strofe è scritto che "quanto muta di continuo è come un torrente impetuoso". Scorrendo come le acque impetuose di un fiume, la coscienza alaya non si arresterà mai. Questa forma di coscienza è la summa delle retribuzioni karmiche di tutti gli esseri senzienti.
Dalla forma immutabile della coscienza araya, il Mahaya-nasamgraha (Compendio del Grande veicolo) Asanga ha sviluppato una teoria della retribuzione karmica specificatamente connessa con il tempo. Si tratta della contemporanea interconnessione tra la coscienza alaya e la legge della corruzione della mente dai desideri e dalle passioni terrene. Secondo le teorie della dottrina yuishiki, le leggi momentanee del presente (queste in realtà non sono altro che la coscienza) esistono e interagiscono tra di loro,. Superato questo momento, la coscienza di araya e la legge della corruzione della mente dai desideri e dalle passioni terrene si annullano, per rinascere l'attimo seguente e generare una nuova connessione di causa ed effetto. Il tempo si genera dall'estinzione, attimo dopo attimo, di ogni essere vivente (la coscienza di araya e la legge della corruzione della mente dai desideri e dalle passioni terrene). L'ininterrotta sequenza temporale che insorge dall'interruzione e dall'estinzione che avviene in ogni singolo istante può essere paragonata alla relazione che unisce un punto a una linea...
Honda si sentiva sempre più coinvolto da quella erudita esposizione, ma considerato il momento, il suo interesse per lo studio delle leggi naturali non riuscì a destarsi. La difficoltà della terminologia buddhista lo investì di sorpresa come un rovescio improvviso. L'idea che la legge di causa ed effetto sarebbe da sempre esistita e che contenesse in sè il trascorrere temporale era in contraddizione con la teoria che riconduceva l'esistenza del tempo all'azione della retribuzione karmica.