Il lago visto dall’alto, gli animali,
il trascorrere del tempo, la casa, il giardino, i pensieri in sintonia e
distonia … questi i temi del nuovo libro di Carla Bariffi.
I testi si presentano in successione,
due per pagina, senza alcuna divisione interna, non sembrano essere interessati
a mostrarci una struttura, i capitoli di un romanzo. Sono, piuttosto, dislocati
lungo il percorso di un binario circolare – quello del lago e delle sue
stagioni – e così procedono per improvvise ed occasionali illuminazioni, sempre
scaturite dalla vibrazione emotiva e sensoriale.
Elettricità, nell’aria
sui corpi cristallizza in respiro
– esplode il temporale –
Ti tengo nella mano
mia grandine improvvisa.
p. 46
Direzioni diverse
tagliano il cielo.
L’orizzonte rimane lo stesso.
– Il lago è incendiato di blu,
accoglie i nostri corpi come un’ostia
–
p.14
Sono, dunque, testi “veri”, nel senso
di corrispondenti a un progetto interiore, di conoscenza di se stessi
attraverso l’immersione nel panico naturale, nel grembo, nella promessa di un
Nulla per niente interessato all’umano, alla pietas. Piuttosto è la parola che
si fa portatrice di pietas, parola rivolta verso noi stessi, per guarire la
nostra incapacità di sentirci in sintonia con le voci, col respiro, con
l’appartenenza.
Spesso leggiamo di lacrime scaturite
proprio nel momento in cui la consapevolezza del perduto, di un pensiero
ancestrale che ci rac/coglie solo a tratti, improvvisamente abbassa le difese
dell’io mostrandoci il nostro abbandono, la resa.
Così largo il pianto
e lento di noi il sapere dove
fermare l’ansito
potere scioglierci.
p. 13
Carla Bariffi, a un certo punto di
questo diario di segni naturali, di geroglifici, cita “Memoria” di Rimbaud: “La
corrente d’oro in movimento, / muove le sue braccia nere e pesanti…”; chiosando
successivamente: “Penso all’acqua chiara / di una memoria nuova”, p. 16.
Quest’acqua, che per Rimbaud è il
laghetto fangoso di un parco cittadino, qui è proprio il Lario coi suoi
anfratti scurissimi, le sue imprevedibili bufere, le brume, il quietarsi nei
riflessi del sole in controluce.
È il luogo, dunque, lo scenario
partecipe delle ferite del pellegrino che sale il monte per raggiungere la
casa, tutti i fine settimana. La casa è desco e santuario nello stesso tempo,
finestra spalancata verso l’esterno, luogo chiuso di meditazione frammentata e
improvvisa.
Esiste una luce diversa
quando il crepuscolo scivola ed entra
dalla finestra socchiusa
– accarezza gli oggetti in silenzio –
li inebria di un corpo che pulsa.
È la luce degli avi.
p. 33
Radunare
le briciole del giorno
quando calma si fa sera
e la casa resta l’argine lontano
condiviso nel silenzio.
p. 19
La penna a sfera
giace sulla credenza
accanto al suo inchiostro notturno.
Preferisco la matita.
p. 15
È così grande la casa
quando soli
la viviamo.
Il suono propaga orizzonti
sul lago di fronte
Lo spazio – dal tonfo di neve
delle mie stanze.
p. 25
In questo discorrere nella mente del
tempo delle stagioni, gli avvenimenti si dispongono come i tasselli di un
puzzle, suggerendoci l’immagine di una presenza che si cela dentro gli occhi di
un animale, in una pianta, nel volo di un uccello, nelle intuizioni di una
riflessione improvvisa:
Così a volte vediamo un essere ferino
che ha gli occhi infuocati del sangue e della vita:
Fissa gli altri gatti col suo sguardo
malato
di fronte al banchetto
– il sangue è un grumo al muso –
Le mosche lo circondano, ostinate
ma più ostinato è il rosso del suo
pelo,
l’illusione del suo desiderio.
p. 17
Improvviso, lo colsi
afferrare il pane secco
nel buio intermittente della notte
sagoma bianca striata sul muso
lungo come il viottolo deserto.
È bastato un fruscio sotterraneo
a dileguare la sua occulta presenza.
Il gatto lo osserva con me
senza muovere un pelo.
p. 57
Uccelli come presenze dell’anima,
come i primi pensieri del mondo:
Cerchi ampi
circoscrive la poiana
poi di colpo cambia rotta
esorta la mente a deviare.
La traiettoria dell’occhio la segue,
scompare.
p. 36
Il lento pensiero delle essenze
vegetali; e la presenza che le abita:
Il noce si è intrecciato col limone
– l’aria è pregna del giallo dei
cedri –
In questo giardino di ulivi
i pini sono quieti
e un canto di civetta
scandisce ogni mezz’ora.
Son qui, ad alleggerire ogni
pensiero,
affondando nell’azzurro ogni mia
fibra.
[il San Martino
accanto].
p. 45
Sei nel fiore del sambuco
e nel prugno che lento matura
nel grano che sale, nel ciclo lunare
che piano riverbera dentro.
p. 55
Le intuizioni monacali:
La memoria lascia buchi dolorosi
dentro la membrana
il lago distende il pensiero
la ruga profonda tra gli occhi.
È l’altezza
la cura del male.
p. 9
Testo, dunque, che si alimenta delle
sporgenze e delle rientranze del magma, senza un centro, ascrivibile a un poeta
del pianeta Nettuno dove, si dice, tutto sia acqua e forse sogno di una vita
diversa, di una cosa chiamata terra.
Sebastiano Aglieco
da quì:
https://miolive.wordpress.com/2016/04/23/carla-bariffi-e-laltezza-la-cura-del-male/
Grazie Sebastiano!
RispondiEliminaHo aggiunto le splendide azalee di Villa Carlotta e il link di Sebastiano Aglieco, persona che stimo tantissimo per la sua serietà in poesia, per il suo fiuto, per la sua meravigliosa semplicità ...
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