Tutto ruota intorno alla figura di Paolo Limara, al mistero
che lo lega a un manichino senza braccia e senza testa, esposto nella vetrina
di un negozio desolato in una provincia dove si respira la mano della
corruzione e l’ebbrezza del gioco proibito. Non mi dilungherò sulla trama del
romanzo noir ma sulle impressioni ricevute.
Durante la lettura fatico ad inquadrare la personalità di
Paolo Limara, il giornalista protagonista che si ritrova a fare i conti con il
peso di una rivelazione, che si trova di fronte alla sottile linea rossa della
sua solitudine che parla di silenzi e di dolore, di chiusura verso ogni forma
di speranza.
Avrei intitolato questo libro: La confessione, perché è da
li che tutto prende forma. L’origine del male.
Paolo Limara soffre perché è stato tradito, e non offre chance
all’artefice di questa sua condizione di “passività” in cui si rifugia perché
non accetta, Paolo Limara, l’amarezza della realtà che lo investe.
Ciò che ho recepito dal personaggio “Limara” è che:
Tutto ruota intorno al tema della verità. Ognuno di noi
crede nella sua verità, perché è sempre doloroso conoscere la verità.
Le confessioni sono pericolose anche quando ricoperte dal
segreto professionale (e sacerdotale). Le confessioni sono responsabilità allo
stato puro, andrebbero fatte solo a dio o alla nostra coscienza. La verità
porta spesso a conseguenze imprevedibili perciò andrebbe sempre vagliata in
profondità.
Il finale – sorprendente e non banale - lascia intravedere
(ed è quasi un sollievo) un barlume di speranza nell’esistenza di un uomo che
non ha più la forza di reagire, che si lascia cadere con la naturalezza di un
volo verso l’agognata (e meritata) pace.
Una domanda all’autore comunque vorrei farla:
Quando si scrivono romanzi del genere, il personaggio che si individua durante la lettura rispecchia il lettore o rispecchia lo scrittore?
Una domanda all’autore comunque vorrei farla:
Quando si scrivono romanzi del genere, il personaggio che si individua durante la lettura rispecchia il lettore o rispecchia lo scrittore?
Una premessa. Si dice che quando si scrive ci si rilassi o comunque, nell'atto di creare una storia, si vivano momenti positivi (in fondo il bello della scrittura non è ottenere riconoscimenti che si sgretolano in un attimo ma il ricordare l’atto stesso dello scrivere, le emozioni provate), ma per Bastardo Posto così non è stato. Mi son fatto male alle viscere, mentre lo scrivevo. Ed ero – così rispondo alla tua domanda – tanto Limara quanto le due donne, belle e perdenti come lui, che caratterizzano una storia nera. Mi piace quello che hai scritto sul finale: io credo che morire sorridendo sia di chi – almeno una volta – vince.
RispondiElimina