lunedì 24 marzo 2014

due puntini



Paolo LanaroMondo (inedito)

La poetessa Szymborska un giorno
ha buttato lì due punti dopo i quali
si è aperta una porta ed è entrato un gatto.
Una cosa semplice in fondo.
Difficile però che possa succedere
in filosofi a o in certi tipi di scienze
o nel mezzo di un rito religioso.
In pratica la poetessa Szymborska si è limitata
a lasciar fare alle cose, consapevole
che le cose accadono che lo vogliamo o no.
Per questo, ma anche per altri motivi,
chiunque può mettere due punti e assistere
ai volteggi di una schiera di gazze,
alla sbronza di un padre di famiglia,
ai segnali argentei di un radar,
alla parabola di una palla da tennis.
Cioè quel che ampollosamente chiamiamo «mondo».
Preceduto casualmente da due punti,
seguito chissà da che.

* * *
Questo modo di poetare si chiama anche: arte della sintesi 
senza interferenze.
Però non è poetico spiegarlo :-)la potenza di ciò che sta dietro 
ai due puntini dipende tutta dalla forza che li genera perciò i 
due puntini della Szymborska possono benissimo essere paragonati 
ad un inciso della Dickinson, con tutte le varianti del caso.

Roberto CogoQualcosa di impossibile (dalla raccolta inedita 
“Un confine mobile”)

Annunci il cambiamento una nulla pretesa
l’essere una cosa impossibile
allora soffi a forte scuoti i tuoi rami adesso
fai cadere le foglie in un secco d’illusioni
alza un po’ di polvere
nello sfaldarsi delle nebbie
fatti vedere soltanto attraverso le cose
nell’intreccio del loro evolversi e mutare
forse solo un sogno con le sue penombre
un volo di gheppio planante tra le creste
avvolto d’improvviso al malumore
ti mischi con le nuvole alla termica le cingi
per spingerti in azzurro senza fondo
annunci il cambiamento l’essere ancora
qualcosa di impossibile

* * *
Aggiungerei qualche virgola, dopo cambiamento 
all’inizio e alla fine, 
per non perdermi nel volo planante del gheppio.
“Allora soffi a forte” (terza riga) è un’espressione dialettale?

Erika Crosara: da (infanzie) (poesia edita nel libro d’artista di Alessandro Zorzi)

(e amare molto lungo la direzione presa da tempo).
passavano pure i nati bambini che cadevano dalle
biciclette inclinate, dalle naturali rampe: qualcuno faceva
un sorriso, apriva per poco le bocche. i vasti rami sopra le
loro teste, cielo e molte interminate macchie.
svolgevano appena alcune faccende bonarie, uno soltanto
si dichiarava vistoso con le sue mille spillette. la donna
vestita di chiaro girava dicendo la prego, si sposti.

* * *
Ermetica a tal punto da non permettermi un giudizio obiettivo.

Giovanni Turra ZanUna generazione (inedito)

Perduravano le incertezze mentre l’ombra scendeva
sui morti e l’isola e la casa venivano occupate.
Avresti preferito nasconderti a Granezza, ma le donne in famiglia
cadevano dal sangue delle generazioni e la madre voleva le fi glie
nella cucina, con la stufa e la porta sul letamaio.
La poltrona rossa reliquia al focolare, la ricordi nel giorno
del sussurro che vi ammutolì, con tutte le femmine impegnate
al tavolo nel gioco solitario. A Bosco Nero, Loris era caduto tra i germogli
dei carpini; il suo corpo nascondeva larve di prosperità,
ma non fu più per noi il perdono dell’aria che irritava le porte di casa.
Fu per tutte e sette noi donne quel dissimulare di granito
che ci ammalò il pianto, salvo che per Mary, che rese vasta.
Quando anche Tom lasciò tutta la prigionia della vita,
e non più solanacee a ricordargli la nausea del mondo,
come in Germania nel ’43, sul cancello di casa piangemmo
i completi di lana ora vuoti, come ultima consegna della cura,
della storia amata come l’erba intorno all’acqua, che riempiva
en tel làbio la brocca, ogni santissimo giorno dell’anno.
A Mary Arnaldi, staffetta partigiana

* * *
La poesia che racchiude il ricordo legato alla storia di famiglia
ma anche alla storia – umana – ha sempre una presa diretta sul lettore, 
una potenza cristallizzata nella voce del tempo.


Alessandra Conte, Cosa ti dice (inedito)

Cosa ti dice la morte per acqua? quelle parole liquide insinuanti,
il fiume dentro al fiume, il sale che non si mescola all’acqua dolce;
il dolce della pelle gonfi a dal bagno e della saliva insapore su un corpo
pulito. questo dice la morte per acqua, un canto afono con voce
ultramarina, e il ricordo molle delle pozze nei tuoi occhi. e poi
dice ancora, con corde sfregate nella laringe dei giorni di maggio
cicala nella gola con le elitre a sfinirti. quando morirà lasciando
l’esuvia perfetta di sé nell’antro, lo farà caverna sotterranea o grotta
marina dove mugghia una schiuma rosa di sangue e cloro. e tu sarai
lì, un canto d’amore, corpo viola in lettiga su quei flutti nell’antrolaringe,
a trattenere con le dita ogni frazione, ogni sillaba pronunciata
appena, nemmeno pensata
aprirai il libro per rinvenire le mani abbandonate
sulle ulne dritte tra i giunchi. cinque speroni
vertebrali emergeranno dal dorso dell’impronta,
dieci biglie. più in là, all’approdo, le gambe saranno
le tese attorcigliate a una scaletta di metallo che la chiglia
tira al largo dicendo ‘sonno’. e allora sarà pace, ma
l’alito salino batterà i sonagli tribali delle tue falangi

* * *
Non  mi trasmette altro che il residuo salino di una morte 
sperimentata per acqua.

Tiziano BroggiatoLa migliore stagione (Da “Anticipo della notte”)

Sia di Milano o Parigi
questa luce bassa e segreta
che solo lungo l’acqua allenta
la sua presa e dalle periferie
sgrana i profili delle torri
noi vorremmo trattenerla così
con la presunzione di chi
ha guardato le città dall’alto
nell’ora designata
in quell’ora pomeridiana
che ne fa trattenere
nel respiro e nello sguardo
la loro natura come
di fossile impresso nella pietra dura.
E domani
Siano Monaco o Belgrado
nulla potrà mutare la devozione
con cui oltrepasseremo le loro porte:
è la migliore stagione quella che cresce fantasmi
che oltrepassa la vita
donando poesia.

* * *
Un bellissimo incitamento a viaggiare, 
ad allentare ogni tensione urbana lungo i corsi d’acqua, 
verso un respiro che è scoperta di nuovi portali.


Stefano StrazzaboscoJuan G (inedito)

In qualiquanti pezzi, quantiquali
pezzi sei andato, padre nostro mai
vivo abbastanza? In quali occulti esili,
quanti amorosi nascondigli andrai
con il tuo passo di splendore e l’anima
disarcionata da un cavallo in corsa?
Quanti altri sangui, quali scuri angoli
vai visitando nel tuo muto andare
che scorre come un fiume sotto il mare?
Il mondo non ha terre né giardini
grandi abbastanza per il tuo fiorire
ora che neanche le parole sanno
il loro nome, calcinate e torte?
Il cielo non ha uccelli che feriscano
le tue mani che un tempo
carezzavano guance più invisibili
della giustizia spettra? Padre nostro,
trema la voce quando dice: tace
la luce dentro agli occhi e il bistro
segna le nostre palpebre. Gennaio
spezza l’anello che faceva zoppa
la zampa al cardellino, il colibrì
passeggia nel suo manto di colori
sul davanzale della mortevita.
per Juan Gelman, in memoriam

* * *
segna una musicalità degna di una nenia, si culla nel ridondare
delle domande, questa mistica stesura che riporta alla creatura francescana, 
ma anche pascoliana e agostiniana, per via dei richiami ai versi
degli uccelli, agli occulti esili e allo scorrere del tempo …
*E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti,
ed i grandi flutti del mare, ed il lungo corso dei fiumi,
e l’immensità dell’Oceano, ed il volgere degli astri.
E si dimenticano di se medesimi.*
S. Agostino

Andrea PonsoE lo stalliere (da “I ferri del mestiere”)

E lo stalliere seduto nel fi eno
mi sorrise: noi ci siamo arresi,
disse, e abbiamo deposto
ora gli arnesi, lasciato il campo
di grano a maggese. Ora la neve
pesa sui travi e i treni sono fermi
alla stazione: non c’è direzione,
né spazio, né amore in queste mani.

* * *
Buona misura del ritmo, endecasillabi armoniosi, 
in poche sillabe sono concentrati: lo sguardo al passato,
la stagione presente, il disincanto. 
Poesia a più dimensioni dove il concentrato del tempo
fa da epicentro al luogo e alla memoria.

Stefano GuglielminSe la voce sola (da “Le volpi gridano in giardino”)

Se scivola parola al pane, se punge
e amore stacca, se aspra e tenebrosa bianca bocca
spinge e come corta vita brucia o scatta

se solo piove e piove, al ladro rubando tracce

se s’impasta il tempo e pa di padre e ma di madre
spàmpano, non più punta o squadra, non più lago
o tasca o golfo

se amore sgomita per restare, andando verso
tornando, se ogni voce

se ogni voce parla per noi, se ogni voce
alla poesia scalda i piedi, se si fa coro
dentro il legno o si perde
in pace
se io romeo e tu perfetta
in bilico sul canto, su questo
stento
se di nuovo esito tra palude e sorso
e ancora piove e piove e
piove…

* * *

Ho sentito la voce che cantava, il canto della poesia che fluiva, 
il golfo che fluiva, la ritmicità, degna di ogni grande poesia, 
la ripetizione del verbo, tanto caro a Campana, in un crescendo 
che si amalgama a qualcosa più grande di noi, la Natura,
ancora da definire.
Mi hai riportato il grande Dino!

* * *                                * * *
Brevi note critiche a un post di Guglielmin:
http://golfedombre.blogspot.it/2014/03/il-giornale-di-vicenza-e-la-poesia.html



8 commenti:

  1. questo è un esercizio che mi diverte moltissimo!:-)

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    1. in effetti dovrei formattare il testo ma mi risulta impossibile :-)

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    2. “Il poeta deve essere aperto anche alla gente nel mondo e al mondo nella gente. E se il poeta, osservando la gente e il mondo, nota che la pioggia è diventata salata e le gocce lacrime, egli deve fare ancor più attenzione a tenere chiuso il suo ombrello”, (Tomi Kontio). Come questo, poi, si traduca in poesia, questo non lo so, ma sicuramente non si può chiedere alla poesia ciò che si chiede alla cronaca. Io sono sicurissimo che la realtà in Leopardi è filtrata attraverso lo sguardo da una finestra. Osservando i contadini che vengono dalla campagna, la sera, lui sta osservando il mondo, tutto il dolore del mondo, e lo dice nella forma di una gioiosa malinconia, di un messaggio a vivere, a continuare a vivere malgrado tutto. Perchè la poesia non può fare ciò che dovrebbe fare la politica. Non può risolvere problemi. Quindi il poeta è dentro al mondo, bagnato da questa pioggia salata, e nello stesso tempo nella sua stanza, a restituire l’esperienza del dolore nel modo che più gli viene meglio. Ciò che dici, “e di tanta felicità piangevo”, è una restituzione in forma poetica della tua esperienza di osservazione del mondo, davanti a un supermercato, tu, pienamente nel mondo. Non hai raccontato del supermercato, ma ne hai restituito il senso con il verso, perchè è un verso, ” e di tanta felicità piangevo”. Sebastiano

      questo mi aspetto da una buona poesia.
      compresa la punteggiatura necessaria!

      Ciao Gugl :-)

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  2. il gioco delle notazioni impressionistiche ad un testo singolo è senz'altro divertente, l'esercizio comporta rigore di metodo e parametri ai quali rapportare i singoli percorsi

    Andre

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    1. ancora più divertente quando entrano in gioco più testi!
      è maledettamente stimolante...

      Andre sta per Andrea Ponso?
      Buona sera :-)

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    2. intendevo ricordare la differenza tra il gioco di giudizio, che qui sembrerebbe frettoloso, e l'esercizio di decostruzione e ricomposizione, anche architettonica, alla ricerca del senso. sarebbe più interessante, ad esempio, avendo un solo testo per autore, operare con un'analisi che prenda in considerazione un parametro rilevante, ad esempio il suono, la costruzione formale, o l'area del lessico.

      Buonasera, Andrea Alberti


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    3. il gioco di giudizio che qui sembrerebbe frettoloso è basato su una sola poesia per autore, ed è un esperimento.
      quando vorrò prendere sul serio la "cosa" analizzerò più testi di un solo autore...
      ciò che mi spinge a operare in questo modo è prima di tutto il narcisismo del poeta.
      egli si prende troppo sul serio.

      Andrea Alberti il musicista?
      Buon giorno :-)

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