giovedì 12 settembre 2013

Quattro parole sulla poesia

Vorrei lasciare qui quattro parole sul mio modo di intendere la poesia.


Tra i poeti che più mi hanno colpito, nel corso degli anni, ci sono stati gli autori della neoavanguardia italiana, in particolare i Novissimi, in particolare Giuliani e Sanguineti. Mi toccava, oltre alla loro poesia, la loro idea che la poesia fosse un’operazione di salvaguardia e salute del linguaggio. “Rito demente e schernitore”, “pantomima incorporea”, la poesia si doveva misurare, per Giuliani, “con la degradazione dei significati e con l’instabilità fisiognomica del mondo verbale in cui siamo immersi”. Attraverso questa immersione il poeta doveva sperimentare (e fare sperimentare al suo lettore) “tutta la possibile ambiguità e comprensività del linguaggio”. Questa presa di coscienza sul linguaggio sarebbe stata certamente salutare.

Mi sembrava questo, quando leggevo per la prima volta queste parole, un modo nuovo e diverso di concepire la poesia e di focalizzare il fatto, comunque cruciale, che la poesia di parole è fatta, e che rappresenta il modo più complesso e articolato per farne uso. Dunque, sì, certamente: la poesia teneva in movimento il linguaggio, lo manteneva vivo, innovativo, e lo faceva immergendosi nella sua stessa degradazione.

Ma c’era anche qualcosa che non mi quadrava, in questo. Sospettavo, più che altro, perché non mi era affatto chiaro, che una concezione della poesia di questo tipo fosse in qualche modo riduttiva. Ma riduttiva di che? mi dicevo, d’altra parte, visto che in fondo la poesia non è fatta d’altro che di parole.

Oggi so quale è stato l’errore dei Novissimi – errore teorico, perché quanto alla loro poesia io continuo ancora ad apprezzarla. L’errore stava nell’idea di linguaggio che essi avevano, ma che non apparteneva soltanto a loro. Diciamo pure, l’errore stava nell’idea di linguaggio che allora, in generale, si aveva.

Consisteva, l’errore, nel pensare al linguaggio verbale come a un reame separato; come se esistesse da un lato il linguaggio e dall’altro esistessero le cose, o meglio, gli eventi e le cose; ovvero tutto quel mondo oggettivo che al linguaggio spetterebbe di esprimere. Sicché ancora Giuliani poteva, nel 1965, esaltare “il primato della struttura, dell’invenzione linguistica”, concludendo che “il reale è irreperibile nella poesia se non quale oggetto di quel processo che è il linguaggio”.

Oggi noi sappiamo che il reale, almeno per come lo percepiamo, non è, già in sé, meno avvolto di significato di quanto non lo siano le parole. Quando percepiamo gli eventi noi li abbiamo già rivestiti di senso, anche a monte del linguaggio verbale. E il linguaggio verbale non è il reame separato del senso contrapposto al principato degli oggetti e al ducato degli eventi. È piuttosto una specifica regione dell’universo del significato, un universo che comprende anche eventi e oggetti al proprio interno – e i confini tra le varie regioni sono tutt’altro che ben definiti.

Se volessi riformulare a mio modo la poetica dei Novissimi oggi, dovrei pensare che la poesia compie un’operazione di salvaguardia e salute non del linguaggio ma del senso, pensando al senso come alla relazione generale tra noi e ciò che ci circonda: eventi, parole, oggetti, altre persone comprese. Evidentemente il linguaggio verbale è un’area importante di questo impero del senso, non foss’altro perché la poesia è fatta di parole, ma lo è prima di tutto in quanto rimanda ad altro, perché è il punto di partenza di innumerevoli catene di significato.

Dunque, inevitabilmente, la poesia è sperimentazione, ed è sperimentazione sul senso. La sperimentazione intesa come sperimentazione sul linguaggio verbale, vincolata ad agire sulle sole parole, (come, tra i Novissimi, solo Balestrini è arrivato a concepire – ma che ha avuto altre e importanti eco altrove) è inevitabilmente un cul de sac. Le parole non esistono da sole, ma in relazione col più vasto universo del significato. Fare esperimenti con le parole, dimenticandosi di tutto quello che sta loro attorno, è come giocare al meccano invece di costruire case e ponti. Anzi, per dirla meglio, affinché non si pensi che sto contrapponendo la futilità del gioco all’utilità del costruire: limitarsi a fare esperimenti con le parole è come baloccarsi con il meccano invece di giocare a costruire davvero il cupolone di Michelangelo.

La poesia è ben di più di un semplice fatto di parole. La poesia non si limita a dire. Le relazioni tra le parole di un testo poetico possono rivelarsi mimetiche di quelle tra le cose; la poesia può dipingere mentre racconta; può essere musica di suoni e insieme ritmo di significati.

Quello che noi dobbiamo fare, nello scrivere poesia, è far in modo che le nostre parole diventino lo strumento più esatto e spietato di penetrazione nel mondo. Perché la poesia descrive, sì, ma prima di tutto muove il suo lettore, lo trasforma, trasformando il reale davanti ai suoi occhi. Lo diceva già lo stesso Giuliani, nel 1961, quando sosteneva che il contenuto di una poesia è ciò che essa fa nel suo lettore, è la trasformazione del reale che essa opera in chi la legge.

E il reale, si badi bene, è fatto di eventi e di oggetti, ma anche di parole, proprio come la poesia.

Insomma, impariamo dalla vecchia avanguardia, ma anche da Pasolini (che pur ne era l’obiettivo polemico), che la poesia ha un compito, una missione. Non bisogna intenderla come una missione politica, anzi è necessario evitare di rinchiuderla in qualsiasi ghetto specifico, che sia quello della politica, o quello del linguaggio, o tanto meno nella torre d’avorio edificatale a suo tempo dai poeti ermetici. La poesia deve vagare libera nel mondo, e parlare di politica, se crede, di linguaggio, se crede, con tutto il diritto di parlare degli alberi, se crede.

Dove riterrà che il senso si sia degradato, si degraderà essa stessa per esprimerlo. Ma Adorno è morto da abbastanza tempo, oggi, per lasciarci liberi di ritenere che non vi sia stato solo Auschwitz a determinare la storia, e quindi ciò di cui l’arte deve parlare.

Perché ciò che importa davvero non è di che cosa la poesia parli, ma dell’immagine delle cose e della nostra relazione con loro che essa ci rimanda. Più questa immagine ci rivela aspetti nuovi, correlazioni impensate, nuovi sensi del mondo, e più la poesia adempie al suo scopo. Ci vuole, per la poesia, un linguaggio esatto e spietato come lo sono le cose quando si rivelano a noi per la prima volta, nella loro magica e inesausta brutalità.
 
* * *
 
Daniele Barbieri

28 commenti:

  1. Condivido in parte. Intanto non si dovrebbe parlare di errore quando si parla di periodi storico letterari. Semmai scelte non condivisibili... anche perché credo che la letteratura sia un unicum che gode dei precedenti periodi letterari. In letteratura non esiste nemesi. Inoltre la riflessione si basa solo ed esclusivamente sulla parola e sul senso, quando sappiamo che la poesia è un insieme di senso e di significante, altrimenti perché la prosa? Mi fermo qui, ma ci sarebbe da scriverne...
    Stefano

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    1. in letteratura non esiste nemesi.

      non sono d'accordo, come al solito, c'è letteratura e Letteratura.
      bisogna saper discernere..

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    2. Ma che c'entra Carla! Se parlo parlo sempre di Letteratura. Suvvia...
      Stefano

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    3. Non v'è dubbio: la letteratura è cinica.

      Giorgio Manganelli

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  2. La poesia è il morto in mezzo alla casa. E il morto nessuno lo vuole. Eppure è là, matematicamente in mezzo alla stanza più grande o comunque alla stanza più accogliente o anche nell'unica stanza possibile. Ma anche l'amore allo stato nascente e allo stesso tempo l'amore che sta morendo e muore d'inedia e nonostante ciò non muore perché non vuole porre la parola fine. Le cose e i corpi sono come calendari a cui togliere i fogli dei mesi che passano. La poesia è sia vita e sia morte, perciò ride e piange e quindi vive nelle cose e al di fuori delle cose. la poesia è fine e confine e illimitatamente vicinanza e lontananza. La poesia sono le parole che si scrivono per dare ordine al caos dei sentimenti. la poesia è un ingegnere senza laurea ufficiale. La poesia non è altro che un bambino che impara a fare i primi passi e che deve comunque buttarsi nel mondo esterno a partire dal mondo interno. La poesia è parola chiusa che la bocca non pronuncia mai. Poesia è scrittura.


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  3. Sul tuo articolo, leggo con interese ma non ho i mezzi per un commento opportuno..

    poi, leggendo il commento qui sopra, invidio chi ha le idee così chiare sulla poesia.. io non ho mai saputo definire la sua tirannia..

    (ciao.. :)

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    1. l'articolo non è mio, è firmato.
      effettivamente anche l'anonimo ha le idee ben chiare, peccato non sapere chi è.

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  4. Una letturina al De vulgari eloquentia gliela farei, cosi' tanto per vede' che dice sto Dante sulla poesiola, vuoi vedé che ciavesse ragione?

    Carlina, un salutone (non mosso d'un millimetro).

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  5. p.s. ma come non vieni a scorgere le mie ultime fatiche letterarie?
    offeso sugno.

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    1. non ho certo bisogno di leggere le quartine di una certa Valduga!
      :-)))
      non preoccuparti, quello che voglio leggere lo scelgo io.

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  6. ma che antipatica leggitrice stamane....
    un salutino e un buon fine settimana.

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    1. pensavo invece di essere simpatica esprimendomi liberamente!
      ricambio il saluto :-)

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  7. Barbieri è bravo, pensa bene, ordinatamente. Mi ricorda Umberto Eco, alla cui disciplina appartiene. Qui mi pare che dia una rilucidata agli ottoni del buon senso, un poco lordati da talune (anche comprensibili storicamente) esagerazioni. Quindi mi viene da dargli ragione ma anche da pensare che non è una grande novità (che il linguaggio non sia un regno a parte, o il quartier generale o la centralina di comando del Tutto).
    Ciao Carla, onorato dall'abbinamento. Buon week-end :-)

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    1. Grazie Elio,
      a me piace soprattutto il finale della sua dichiarazione.
      ancora una volta, è la forza delle immagini, più che il linguaggio, a vincere.

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  8. Sono concorde con Elio. Articolo interessante, ma si ferma al buon senso, mancando l'essenziale: comprendere il rapporto tra linguaggio e senso.
    Per questo ho apprezzato molto di più la definizione di poesia data dal commentatore Anonimo.
    Daniele

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    1. Penso che il commentatore anonimo più che una definizione abbia dato una devozione :-)

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    2. Effettivamente Elio è il vissuto lì che è in gioco, non si tratta di definire, di stabilire leggi, ma di esprimere un sentimento. "Una devozione" è proprio la parola giusta. :-)
      Mi ha colpito il contrasto tra il testo del post e il commento. E' il commento che mi ha strappato dal torpore della riflessione suscitata dall'articolo e mi ha rapito.

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  9. Possiamo aggiungere che la poesia non è devozione, almeno per me, il che è di certo secondario. E non lo è in nessun senso, persino il più puro e nobile e allo stesso tempo materialista(la poesia è un bisogno primario per dialogare con parti di sé), e anche quando essa ci piace da morire cioè da rimanerne estasiati dallo scritto, ma piuttosto rapimento e, intendo il rapimento che che avviene in chi molto prima sottopelle s'accinge a essere trascinato per i capelli a scrivere di quello che chiamiamo poesia.

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    1. E' devozione nel senso proprio di "sacro", di devoto in senso etimologico, di "destinato a morte". Non devozione a qualche cosa come la Poesia con la p maiuscola, ma devozione a un sentimento sacro di rapimento appunto e insieme sacrificio.
      D.

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  10. Penso che abbiano diritto di cittadinanza entrambi gli approcci: l'uno non nullifica l'altro. Barbieri si pone, da semiotico, in un'ottica scientifica: questa anche quando parli di sentimento deve tendere ad un punto di vista che "astrae" dal sentimento stesso, per "oggettivarlo" in terza persona (anche se probabilmente il massimo cui si può aspirare è "intersoggettivarlo" in prima persona plurale).

    Il commento anonimo richiama invece ad una immedesimazione empatica, mistica, richiamata anche dalla forma in litania: la poesia.. la poesia, e dall'abbondanza metaforica che ne fa quasi una poesia sulla poesia, e dunque ben si allontana dall'atteggiamento "scientifico" che delle metafore diffida.

    La cosa interessante è che Barbieri fa anche il poeta: evidentemente avverte l'unilateralità del primo approccio e ne ricerca nostalgicamente una compensazione.

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    1. Certamente Elio, anche io penso che l'analisi esterna sulla poesia, semiotica e scientifica è interessante ed ha diritto di cittadinanza. Deve senz'altro astrarre se vuole dire qualcosa di valido in senso inter-soggettivo.
      Le leggi che nascono dalla sua astrazione, però, non hanno molto senso quando pretendono di diventare universali criteri di creazione poetica.
      La creazione ne rimane sempre indipendente.
      L'analisi può avere un ruolo di chiarificazione, uno sguardo rivolto al già scritto che rischiara può darsi ciò che si scrive, ma non può fissare norme per la creazione. Ecco perché quando colgo accenni al "dover essere" della poesia nell'analisi sento una nota stonata.

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  11. lieta, al mio rientro, di trovare questo fervore dialettico così stimolante...
    lasciatemi il tempo di assumerne l'essenza...

    :-)

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  12. rileggendo, alla luce di quanto esposto, i vostri commenti, credo che un mio intervento non sia necessario, ma esprimo comunque la mia partecipazione sia all'analisi razionale (o scientifica), dettagliata e a freddo, sia all'analisi impulsiva, così come alla poesia piace, visionaria e di pelle.

    la creazione lasciamola a Dio, certo, ma ammiriamola sempre!
    :-)
    il ripetersi dei cicli vale anche per le parole, tutto è già stato detto ma è bene ricordare, è bene ricercare...

    (se l'anonimo si firmasse mi farebbe un grande piacere, soddisferebbe la mia curiosità in primis).

    un saluto ai mie ospiti molto graditi!:-)

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  13. Comunque, come tutti, ho nome, anzi due, e cognome, infatti mi chiamo Guaglione Lelloccio, Guaglione Lelloccio Ebbasta. Ebbasta è il mio cognome. E di Transit, perché quando commento, ormai storicamente e per abitudine, mi firmo Transit, ma di costui me ne sbatto persino a cuor leggero. Però, spesso, lo ascolto perché quando il mare è agitato, sotto si smuove la sabbia e salta sempre fuori qualcosa, per esempio un nuovo ordine di piccole dune marine pettinate dai bufali delle correnti. Si, ci frequentiamo, ci allontaniamo e ci si saluta, e poi, ognuno di noi ha le proprie amicizie e frequentazioni, letture, critiche e giudizi e persino personali pensieri e scritture. E' come vivere in condominio e allora, volente o nolente, qualche pizzico sulla pancia te le devi dare. E così ho la pancia piene di ecchimosi(qui da noi diciamo: panza ammulignanata, cioè pancia piena del colore delle melanzane o sottopelle sangue aggrumito nel momento che stringi la pelle della pancia qua e là pizzicandola con l'indice e il pollice, per cui, appunto, ecchimosi.

    Devo dirti anche che firmandomi anonimo, perché ero indeciso, la cosa è iniziata a piacermi e ha ancora il fascino del canto conturbante e possessivo delle sirene che incontrò Ulisse. Anonimo, anonimia e poesia, secondo me, sono un terreno di coltura fondativo della poesia stessa e di tutti coloro che vivono sul crinale di essere e non essere e quando si è, lo è per non essere. Infondo la poesia sono un mucchio di parole e per rappresentare tutte queste parole dell'infinito(non vuol dire niente che è già stato scritto e detto tutto e per tutto s'intende il meglio del meglio del meglio, nonostante i 110 e lode per svariati filosofi, tanto per citare qualcuno)per usarle, maneggiarle e predisporle ci sarà sempre qualcuno perché in fondo è ai morti che si rivolge la corazzata frantumata della poesia.

    Mi fermo qui. Mi stanno chiamando. Giù dal palazzo arrivano voci concitante: paiono voci con venature di adolescenti; giovani infervorati dall'amicizia e dai racconti pi+ taciuti che narrati; e, uomini neo sposati e qualcuno già con figli che fanno i conti giornalieri con la vita, ma anche le voci dei vecchi che tornano al pianto senza ragione o la ragione che si spegne lentamente nel letto del cuore. O chi si spegne per ragioni esterne che dipendono da altri. C'è chi si toglie la vita e a chi la vita viene tolta. E Giovanna, l'amica di Jole, collega di Ipazia, prima di morire per un male incurabile, ha lasciato un libriccino di pensieri fugaci e piccole ingenue poesie che parlavano di amore e sentimenti come un prato peno di fiori.

    Però mi piace Anonimo perché la poesia s'acquatta, ha occhi di lince e soffia come il vento e sguazza nel fango. Si scrivono versi di poesie, perciò di morte e poi la vita che di nuovo pulsa. L'essenza della poesia è il sentimento anonimo del singolo che diviene universale, perché l'anonimo e l'anonimia non possono mai sfiorare o essere offesa. Non si legge il poeta se pur famoso ma i versi della poesia. Dalla Terra si scrive ciò che portano le polveri di stelle e galassie e i sentimenti degli uomini.

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    1. Egregio Anonimo, credo che lei si trastulli non poco in questa veste, ma forse sta tralasciando dettagli importanti che potrebbero mettere sulle sue tracce chi è dotato di olfatto da segugio (io per esempio:-) ma non mi importa di scoprire la sua identità, mi importa invece sottolineare come la poesia non sempre è dedicata ai morti, e pultroppo, mi spiace ancora deluderla, i nomi contano perchè sono portatori storici di una personalità che si afferma nel campo.
      (mi viene in mente Montale)
      la poesia in sè è un nulla costante, è la frantumazione di un momento, un improptu come può esserlo la musica quando è solo all'inizio...poi chiaramente, bisogna saperla dirigere bene, per arrivare a toccare quelle profondità che sono tipiche delle personalità sensibili.

      (detto tra noi, trovo che la filosofia sia una fonte di stimolazione per l'intelletto, per questo attingo spesso alla sua fonte:-)

      l'umiltà deve essere una regola per ogni poeta, ma il poeta pecca di vanità, e questo pultroppo, perchè gli fa rincorrere un fuoco fatuo!

      arrivederci, Ser...


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  14. Cara Carla, cedo che hai postato un tema davvero interessante, soprattutto per la rete, che raramente legge i testi direttamente. Bella anche la discussione. Io credo che Barbieri a un certo punto perda la concentrazione: per esempio, per lo stesso Sanguineti, la poesia è strettamente connessa con la musica e la pittura. Inoltre nessun novissimo, tantomeno Anceschi, ha mai osato pensare che la poesia sia un semplice fatto di parole. Poesia è gesto, dicono semmai, è vitatalità (cose del corpo, dunque, non astrazioni)
    Ha ragione tuttavia a rimettere in gioco quella stagione, dove storicismo crociano, gramsci e fenomenologia banfiana stavano producendo il meglio della poesia del tempo, che finalmente incontrava il grande decadentismo europeo (e qui "Officina" si rivelò assai superficiale nell'etichettare novecentista -quindi illeggibile - un sacco di potentissima poesia decadente.)
    Posta ancora articoli del genere, ce n'è bisogno. ciao!

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    1. Grazie mio carissimo Stefano, ne sono lieta e orgogliosa...hai ragione sai, la rete a volte sminuisce la bellezza dei versi che letti in silenzio e sulla carta acquistano tutta un'atmosfera magica...

      ogni poeta ha le sue ragioni e i suoi segreti, e questo è motivo di desiderio verso la scoperta dei loro sentimenti.

      anche se sono cose già dette (mi viene in mente Goethe:-)mi piace riproporle proprio per tenerle sempre presenti.

      ciao!:-)

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