mercoledì 27 marzo 2013

Buona Pasqua



* * *


* *


Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.

Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un pò di sole, una raggera d'angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d'aria al mattino.


* Salvatore Quasimodo


domenica 24 marzo 2013

Sul concetto di immaginazione

Immaginiamo che questa sia una lavagna:
in alto scrivo: Schema del concetto di immaginazione secondo la mia visuale:





Partiamo da Platone, che ne pose la sede nel fegato, e la concepì come indipendente dalla sensibilità.
Aristotele, al contrario, la concepì come facoltà mediatrice tra sensi e intelletto; funzionale alla conoscenza, essa prosegue l'attività dei sensi quando l'oggetto è assente.
Per Plotino invece, l'immaginazione forma le immagini generali che aiutano l'intelletto a risalire dalle sensazioni ai concetti; ponendola non solo come una facoltà dell'uomo ma come un momento dell'essere.
Questo è fondamentale per la sua importanza, soprattutto durante la malattia, poichè ci permette di evadere dal corpo malato così come da un corpo sano.
In Giordano Bruno si lega alla mnemonica come capacità di evocare le affinità profonde tra le idee.
Kant addirittura ne distinse due; un'immaginazione riproduttiva, cioè capace di raffigurare oggetti già intuiti e una produttiva, cioè la facoltà delle intuizioni pure: spazio e tempo in una stessa dimensione. (i ricordi hanno questa prerogativa).
Nella "Critica del giudizio" egli vide nell'immaginazione la facoltà che, assieme a ragione e intelletto, dà luogo alle esperienze estetiche del bello e del sublime.
Nel romanticismo la dottrina dell'immaginazione fu sviluppata da Friedrich von Schlegel, secondo il quale essa riassume in sè tutta l'attività produttiva dell'uomo.



Ecco, io concordo con questa visione;  noi, l'uomo, è essenzialmente il frutto della sua esperienza immaginata e vissuta. e accostandomi anche a Bachelard, (ma anche al mio beneamato Vico) concentrando l'attenzione sull'immaginario si può ritrovare l'insieme dei miti e dei simboli onirici che portano alla creazione poetica.


Quando si scrivono delle recensioni, ad esempio, è necessario ascoltare e immaginare quella parte nascosta di esperienza che traspira dal testo e farla nostra, occorre immaginare quel *momento dell'essere*.
Ecco perchè è importante l'immaginazione, essa ci appartiene come un'anima.

mercoledì 20 marzo 2013

Filo conduttore


- Cosa distingue la scrittura femminile da quella maschile? -


Carla Bariffi, 
Rapsodia in rosso

ISBN 978-88-897224-77-8

Edizioni CFR - 2013 - pp. 48




Rapsodia in rosso è un poema intenso, di intensa ispirazione, che la poeta lombarda, originaria di un piccolo paese del Lago di Como, ha intessuto in alcuni anni di intensa ricerca e riflessione. Carla Bariffi è una persona molto schiva, che non ama mettersi in luce e coltiva la poesia come luogo di riflessione sul mondo, nell'interrogare le parole e nel metterle in relazione con la sua esperienza interiore, riflessiva ed emotiva. Questa pubblicazione esce a 5 anni di distanza dalla precedente raccolta, Aria di Lago (LietoColle, 2006), dal carattere più contemplativo e conciliato rispetto alla presente.  Qui invece, la scrittura appare più nervosa e interrogativa, densa di trasalimenti e grumi emotivi, in una incessante forma di domanda (di senso) che si tende dall'inizio alla fine quasi con spasmodica continuità, senza spazi, se non brevi attimi, per una tregua.

E' un poema intensamente femminile, che molto rivela di una lirica femminile densa e problematica, ancora troppo silenziosa (al di là di alcuni nomi celebri) che tuttavia fiorisce e lavora nel "sottosuolo" della nostra cultura per trovare in futuro, si spera, un adeguato spazio di rappresentazione.

G.L.



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Filamento di una trama
l'afflato di senso
molecole dense
che rendono elettrica l'aria.
Rombi e prismi, geometrie
in cui inglobare l'energia
di una assenza di voce.

Registrano bolle di ferro
i miei atomi ardenti
- covano sotto la brace -

La presenza è una domanda
puoi legggerci ogni presagio
interrogandone gli occhi e la pelle.
Poi vorrei nascondermi
all'ombra del tuo avambraccio
nella piega che si allunga dall'incavo
verso il cuore a scomparire.

è friabile il ricordo
e resistente;
acqua di lago
in terra di elefante.


sabato 16 marzo 2013

Papa Francesco



Benedettini, Francescani, Domenicani e Gesuiti: quattro colonne. Un papa gesuita che si impone il nome di Francesco: mirabile! Un gesuita che ha fatto voto di totale obbedienza al papa e, divenuto papa, nel suo primo discorso non pronuncia mai la parola “papa”, ma insiste sul concetto del vescovo di Roma: mirabile! E chiede la benedizione dei fedeli prima di impartire la sua: mirabile! Poiché la semplicità di un gesuita è una semplicità di secondo grado, che deriva dalla complessità, esattamente come quella di Francesco d’Assisi non derivava da ingenuità primitiva, ma da un’ascesi della complessità culturale. Premesso ciò, è evidente che il messaggio del nome scelto è anzitutto: povertà evangelica. Vedremo.
Sono le mie prime impressioni di papa Bergoglio. Noto anzitutto che il nuovo papa ha ripetuto più volte di essere il vescovo di Roma, e ha chiamato il predecessore “vescovo emerito”. Dalle sue prime parole da papa sembrerebbe di poter cogliere un’apertura nuova alla collegialità, ad un modo di intendere il ministero petrino più in sintonia con le indicazioni del Concilio Vaticano II, senza i timori degli ultimi pontefici. Questo potrebbe avere anche una forte valenza ecumenica.


Noto poi che la scelta del nome Francesco indica una evidente intenzione di discontinuità, di nuovo inizio. O meglio, di un ritorno alla fonte, a ciò che è essenziale, togliendo tutto ciò che oscura Cristo. Chiamandosi Francesco, tuttavia, il nuovo papa ha anche innescato una formidabile tensione: il Poverello di Assisi, infatti, rappresenta da sempre l’immagine di cristianesimo più lontana da quella del Sommo Pontefice nella gloria del suo soglio, nella pompa stessa dei suoi appellativi.
Noto anche che tutti i vescovi a 75 anni devono rassegnare le dimissioni. E noto che Benedetto XVI aveva invocato un papa dotato di forze fisiche e spirituali adeguate al compito immane.  Il nuovo vescovo di Roma a 76 anni deve iniziare un’opera faticosissima.
Noto poi che storicamente i Gesuiti hanno potentemente contribuito all’accentramento del potere nelle mani del papa, né si può diventare gesuita se non si ha la passione dell’obbedienza. La Compagnia ha avuto varie espressioni, però, negli ultimi decenni, tra le quali la figura del cardinale Martini. Tutto da capire è Bergoglio, della cui precedente vita non so nulla. Sui papi appena eletti è bene esprimersi con cautela.
Mi sembra infine di scorgere nel papa argentino anche un forte marianesimo, in qualche modo vicino a quello del polacco Wojtyla.




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Non ho saputo resistere e mi sono presa l'intero post di Fabio Brotto perchè condivido pienamente la sua bella e veritiera descrizione della figura di Bergoglio, la nostra nuova guida, un san Francesco tutto nostro :-)
Aggiungo solo che la mia impressione è stata sin da subito *Buona*.



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domenica 10 marzo 2013

Lamentazione dell'essere

La molteplicità
di ciò che provo è inafferrabile
e improvvisa
mi sale da un abisso interiore
scatenata da presenze esteriori
umane che io sento distanti.
Insofferente il mio sguardo non sostiene
questo peso presente
e vorrei rifuggire ogni realtà
tangibile e onirica.
La notte è un lamento prolungato
sulle mie falangi strette
a pugno nella veglia del sonno.

(Devo tornare ad imparare
l'arte del respiro).


Oblio dell'anima (buona)


Ora che l'anima umana si trova esiliata in questo mondo, forse per espiare una colpa, la parte originaria di sè, quella non discesa", avverte dunque in maniera più o meno inconsapevole la nostalgia del ritorno.
Per ritrovare la via verso l'Uno e trascendere sè stessi, occorre secondo Plotino sprofondare in sè stessi.
Le ipostasi dimorano infatti nell'interiorità dell'anima.

mercoledì 6 marzo 2013

Mesotes

Gli occhi infiammano
la passività dello spazio
attraversato dal suono
di una cura.
Io gemo nel silenzio
tra l'io separato
e la finestra chiusa.



Devo rinforzare
la mia capacità di sopportare
la falsa postura d'ufficio
maleodorante e nociva.
Dovrò corazzarmi,
rendermi sterile agli occhi.

Gli occhi sono
sfere di meteore
ardenti e muti
- lungimiranti -

C'è aria di un ritorno
nell'aria lacustre di marzo
il salmastro ce l'ho impresso nel cuore.

Aria ed acqua
- fuoco -
a lievitare il pane
a mitigare i sensi.


- Io mi so difendere -
mi ripeti con profonda convinzione.
Voglio crederci, estrarre gli artigli, ruggire.




martedì 5 marzo 2013

Signora Bovary



Siamo venuti al mondo per 
morire
in una lenta, frustrante
agonia
che solo l'età più matura
ci aiuta a comprendere.

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venerdì 1 marzo 2013

Rapsodia in rosso: una lettura di Ivan Fedeli


I poeti sono imprevedibili,
misurano lo sfondo di ogni cosa
cavalcano i miti
si denudano, fronteggiando la plebe.
Il loro mondo
è il nuovo mondo.
Quello di Dvorak.


Una delle tendenze della poesia contemporanea è la ricerca di un codice 
in grado di forzare una lingua impotente, inadatta alla ricostruzione dei 
sintagmi nervosi del presente, recepibile solo attraverso uno scarto 
deformante e, nel contempo, aggregante della materialità storica. 
Tale ricerca, spesso, si serve della struttura del poema in versi per 
esprimere necessariamente il progetto che il poeta-demiurgo costruisce 
a strati per dare compiutezza alla realtà effettuale che lo circonda, 
plasmandola e restituendola al lettore nella nuova veste formale di res 
cognita.


Carla Bariffi è da annoverare in questo microcosmo espressivo, al pari 
di altre voci femminili di considerevole spessore della poesia italiana del 
nuovo millennio. Voci mature, quali Elena Corsini (Nature terrestri –
PuntoaCapo editrice), Antonella Doria (MetroPolis - ExCogita), 
Martina Campi (Estensioni del tempo - Le Voci della Luna) che si 
affidano a editori di qualità, accomunate dall’idea di una scrittura a 
strati, magmatica, capace di legare senso e sovra-senso, struttura 
materiale, storia e contingenza. 
Nel caso della Bariffi, al suo secondo libro di poesia, la natura 
progettuale dell’opera è particolarmente evidente. Rapsodia in rosso nasce 
come secondo codice rispetto ad Aria di lago (LietoColle), di cui 
rappresenta il necessario superamento, in quanto una forza centripeta, 
avvolgente, porta in primo luogo il poeta-demiurgo, poi il lettore, a 
percepire la realtà di riferimento come contrazione emotiva in una luce 
primordiale, atavica, seppur frammentata, dove l’ineffabile entra di 
prepotenza nel canale inconscio dell’Io poetico e agisce da atto 
liberatorio, quasi erotico, esplodendo in nuove situazioni di senso.
Non c’è nulla di fragile o di scontato nella poesia di Carla Bariffi, ogni 
atto è rimando, richiamo, allusione: “il fatto stesso di osservare una particella 
/ ne modifica lo stato” afferma l’Autrice a dichiarazione di una poetica in 
perenne mutamento che, a partire dall’intuizione visiva, destruttura la 
percezione in una densità di frattali che si ripetono in infinite variazioni 
della loro forma-base.



È poi il libero arbitrio del poeta a seriarli, definirli, ungarettianamente 
portarli alla luce. Questione di metodo, dunque: filtrare l’essenza del 
mondo attraverso il canale della parola impotente, destrutturare 
l’esperibile mediante la formulazione di un linguaggio nuovo. 
La Bariffi, con naturalezza, unisce in tal senso l’elemento poetico alla 
speculazione filosofica, generando in sostanza un poema originale: la 
metafisica nasce quando "quando il linguaggio fa vacanza" afferma 
Wittgenstein; la scrittura di Rapsodia in rosso tende alla sintesi tra fisico e 
ontologico, e Carla Bariffi opera con l’abnegazione di uno scriba:

“conio il mio verbo tracheostomico e indigesto”. 

Si veda, a proposito, uno dei frammenti del poema:

Natura, anima, spirito / i tre stadi fondamentali dell'Uno / 
apertura e scissione / - contemplazione - / Sono felice quando mi 
allontano / perché riesco a vedere la forma / dell'indefinibile. // 
Apro l'agenda / per scriverti. / L'Uno solenne si presenta, / 
Assoluto / come l'intelligenza / quando circoscrive i concetti. / 
Emanantismo / che si estende a complemento / (tra l'oggetto ed il 
soggetto). / Scuola, di nomi, prioritaria /da Platone / che lo indica 
come principio / di entità che soggiace / alla molteplicità delle idee, / 
all'’indivisibile’ di Aristotele, / tornando alla molteplicità / emanata 
dall'Essere in Plotino. / Dalla trigonometria, / che studia i triangoli, 
/ al ragno che crea / l'unione dei suoi angoli.

La tensione verso l’ unità dei linguaggi porta, inevitabilmente, alla 
fusione di questi in una forma di scrittura con forti scarti di senso. È 
questo la lingua che Carla Bariffi cerca? Si è accennato, in precedenza, 
alla natura pulsionale della poesia; l’atto poetico corrisponde, 
idealmente, all’atto sessuale. L’obiettivo, sprigionare energia creativa. 
È questo il terzo anello che compone la catena espressiva, dopo il 
filosofico e il poetico:

Lungo l'epidìdimo / attraverso l'erogena zona
 /che divide il cratere dal vulcano. / Nel Perinèo, / abbandono il disegno delle labbra. 
// Perigonio, all'apice del fiore / il tepalo trasmesso per scissione /
lo scarto - epidurale - del pistillo /che genera con-tatto.

Botanica e poesia. Olea fragrans rubra e Digitale purpurea, dunque. 
Senza scomodare Pascoli, ciò che la poesia cerca è un piano 
comunicativo plurilinguistico e plurisemantico. Carla Bariffi lo trova 
con una certa efficacia. Ed è la Kalokagathia , quell’ unità di bellezza e 
valore morale che, nel caso specifico, rappresenta il superamento dello 
schema significante-significato: la poesia evolve in una sorta di macchia 
accentuativa, segno universale in grado di produrre narrazione poetica. 
Come la Sinfonia n. 9 in Mi minore di Dvořák, la ricerca poetica 
dell’Autrice è prova di un nuovo mondo: 

la realtà / è composta da due facce; / lo spazio tridimensionale / e 
l'immagine olografica che vi proiettiamo. / Ma le informazioni, nello 
spazio, / sono un ologramma tridimensionale. / Usiamo i semi di 
Anassagora / come fossero la terza realtà. /

È la terza realtà che chiama, il linguaggio nuovo che tende a 
decodificare l’intorno e l’interno. Risponderle, dunque, con l’esattezza 
dell’atto poetico. Questa è la splendida scommessa dell’Autrice, la 
poesia come strumento di indagine, cosmo a sé in continuo divenire. 
Un’Olea fragrans 1), dunque, destinata a crescere a ritmo lento, ma con 
profumo persistente.


1 ) Olea fragrans rubra era il titolo iniziale del poema.